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Paleodieta testata in provetta, non è più anti-fame di quella moderna

20 maggio 2014 | 16.38
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Paleodieta testata in provetta, non è più anti-fame di quella moderna

(Adnkronos Salute) - Mangiare come i Flintstones non assicura la linea della rossa Wilma. A testare in provetta la paleodieta seguita dai nostri antenati nell'età della pietra, è uno studio pubblicato su 'mBio'. La ricerca rivela sorprendenti relazioni tra la dieta in generale e il rilascio di ormoni che sopprimono l'appetito. Confrontando in che modo i microbi dell'intestino di esseri umani vegetariani e babbuini erbivori digeriscono le diverse diete, i ricercatori hanno dimostrato che quelle umane ancestrali, le cosiddette 'paleodiete', non si traducono necessariamente in una migliore soppressione dell'appetito.

Se le diete occidentali sono cambiate drasticamente nel secolo scorso per diventare ricche di energia, povere di fibre e piene di grassi, i nostri sistemi digestivi - colonie batteriche intestinali incluse - si sarebbero adattati nel corso dei millenni a smaltire diete povere di nutrienti e presumibilmente ricche di fibre. Ma l'idea che l'epidemia di obesità attuale sia legata a sistemi di soppressione dell'appetito evoluti per gestire una paleodieta sta venendo meno. I peptidi degli ormoni 'spegni-appetito' PYY e GLP-1 possono essere attivati dalla presenza di acidi grassi a catena corta nel colon. La fermentazione di fibre vegetali nel colon è in grado di produrre questi acidi grassi, ecco perché si pensava che la digestione di una dieta ricca di fibre vegetali potesse portare ad una migliore soppressione dell'appetito. Il team di Gary Frost dell'Imperial College di Londra ha voluto testare questa ipotesi in laboratorio, utilizzando campioni di batteri fecali da tre volontari vegetariani e altrettanti babbuini, unico primate moderno a mangiare principalmente graminacee.

"Capire come i nostri batteri intestinali e le diverse diete interagiscono per controllare l'appetito è di vitale importanza per affrontare il problema dell'obesità", dice Glenn Gibson, co-autore dello studio, presso l'Università di Reading. Per Frost queste ricerche "potrebbero darci nuove informazioni che possiamo adattare al mondo moderno".

Il team ha stabilito le colture di batteri intestinali in recipienti, nutrendole con due diverse diete (una ricca di amido e una ricca di fibre). Poi i ricercatori hanno mappato i cambiamenti nel numero e nel tipo di batteri, misurando i metaboliti prodotti dalla digestione. Sorprendentemente, le culture di batteri prelevate da esseri umani nutrite con una dieta ricca di amido hanno prodotto i più alti livelli di acidi grassi a catena corta. Risultati simili si sono ottenuti per le colture di babbuino. Quando i ricercatori hanno inserito alcune di queste colture in cellule del colon di topo in provetta, le cellule sono state stimolate a rilasciare l'ormone PYY.

Insomma, secondo lo studio l'idea che la paleodieta sia più 'anti-fame' è da rivedere. Il lavoro "suggerisce inoltre che le proteine potrebbero svolgere un ruolo più importante nella soppressione dell'appetito rispetto ad amido o fibra", ha detto Timothy Barraclough, co-autore. Ma "sarà necessario un ulteriore lavoro per esplorare al meglio gli effetti dei prodotti di degradazione dei vari alimenti".

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