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Paolo, 53enne rinato grazie a un rene di 83 anni 'ringiovanito'

14 settembre 2016 | 16.15
LETTURA: 4 minuti

Mariano Ferraresso e l'équipe dell'Unità operativa di trapianto di rene del Policlinico di Milano
Mariano Ferraresso e l'équipe dell'Unità operativa di trapianto di rene del Policlinico di Milano

Lui ha 53 anni. Il suo nuovo rene 'all'anagrafe' ne ha 83, ma nei fatti è stato ringiovanito grazie a una procedura di 'lifting' messa in campo dai medici che si sono occupati del trapianto. Questa è la storia di Paolo , rinato grazie a un organo di 30 anni più 'anziano' di lui, e di un intervento record eseguito al Policlinico di Milano. Una grave malattia ereditaria, la policistosi renale, aveva trasformato i suoi reni in un ammasso di cisti. Due anni fa, poi, era cominciato l'incubo della dialisi. Unica speranza di una vita normale: il trapianto. Ma l'attesa è lunga, in media più o meno 3 anni. E anche se per ben 2 volte Paolo si è trovato a un passo dall'intervento, ogni volta l'organo del donatore non era purtroppo adatto.

A luglio la svolta: un donatore deceduto avrebbe i reni 'giusti'. Unico neo: ha 83 anni, e quindi gli organi potrebbero non essere pienamente funzionali per Paolo. Ma gli esperti della Fondazione Ca' Granda Policlinico, guidati da Mariano Ferraresso, hanno in mente un piano: "Dopo attente valutazioni abbiamo preso la decisione di ricondizionare questi reni, utilizzando le nuove macchine per la perfusione renale da poco disponibili nel nostro ospedale". Approdate in via Sforza grazie a una donazione dell'Associazione bambino nefropatico, queste apparecchiature (LifePort) servono a preparare all'intervento chirurgico i reni di donatori piccolissimi, anche sotto l'anno di vita, che altrimenti difficilmente potrebbero essere trapiantati con successo.

L'intuizione dei medici è quella di applicare lo stesso metodo utilizzato per i reni dei bambini a un rene molto più anziano' in modo da ringiovanirlo (in gergo medico 'ricondizionarlo') e renderlo quindi adatto al trapianto. La tecnica è stata applicata a entrambi i reni del donatore per oltre 4 ore. E ha funzionato, anche se solo uno dei due organi trattati ha passato il test. Così la possibilità di effettuare il trapianto è diventata concreta.

Non solo: il rene impiantato ha reagito così bene che, anche se in questi casi è in genere necessario un tempo di circa un mese di dialisi per permettere all'organo di recuperare la sua piena funzionalità, per Paolo non ce n'è stato bisogno. L'intervento è perfettamente riuscito, spiegano dall'ospedale. Oggi Paolo sta bene ed è già stato dimesso. E' tornato a vivere una vita senza dialisi grazie a un organo che, solo poco tempo fa, non sarebbe potuto nemmeno essere trapiantato.

"L'impiego di queste macchine di perfusione renale - spiega Ferraresso, che al Policlinico è direttore dell'Unità operativa di trapianto di rene - ha trovato ampio riscontro a livello internazionale e ormai un'ampia casistica dimostra come collegando i reni prelevati a queste macchine si migliori notevolmente il successo del trapianto, riducendo la necessità di dialisi nel post-operatorio, diminuendo il periodo di degenza e utilizzando con successo risorse che altrimenti non verrebbero considerate". Senza contare che, in questo modo, si recuperano organi che altrimenti non potevano essere trapiantati, e quindi se ne aumenta la disponibilità per tutti quei pazienti in lista d'attesa per un rene nuovo.

L'équipe del Policlinico ha vegliato tutta la notte sui reni donati, che subito dopo il prelievo erano stati collegati alle macchine di ricondizionamento. Per ore ne hanno controllato i parametri e registrato ogni tipo di informazione. "Il fatto di essere tra i pochi centri in Lombardia e in Italia ad avere la disponibilità di queste macchine di perfusione - aggiunge Ferraresso - ci pone su un livello di eccellenza tra i centri di trapianto renale. La direzione strategica della Fondazione ha fortemente creduto in questo progetto e ha messo in campo risorse e competenze per permetterci di essere rapidamente operativi. Il lavoro coordinato dell'Ingegneria clinica, del Servizio di informatica e l'addestramento specifico della mia equipe e del personale infermieristico ci hanno permesso di essere pronti alla prima occasione disponibile".

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