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Papa Francesco in un libro intervista, 'Il nome di Dio è Misericordia'

10 gennaio 2016 | 09.21
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"La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio. Gesù ha perdonato persino quelli che lo hanno messo in croce e lo hanno disprezzato. Dobbiamo tornare al Vangelo. Là troviamo che non si parla solo di accoglienza e di perdono, ma si parla di 'festa' per il figlio che ritorna". Lo sottolinea Papa Francesco nel libro-intervista 'Il nome di Dio è Misericordia', dialogo con Andrea Tornielli (edizioni Piemme), da martedì in libreria e in uscita in 86 Paesi.

"Proprio perché c’è il peccato nel mondo -sono le parole di Francesco, in un'anticipazione pubblicata sul quotidiano 'La Stampa' - proprio perché la nostra natura umana è ferita dal peccato originale, Dio che ha donato suo Figlio per noi non può che rivelarsi come misericordia".

"Seguendo il Signore -aggiunge il Pontefice- la Chiesa è chiamata a effondere la sua misericordia su tutti coloro che si riconoscono peccatori, responsabili del male compiuto, che si sentono bisognosi di perdono. La Chiesa non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio. Perché ciò accada, lo ripeto spesso, è necessario uscire".

"Uscire dalle chiese e dalle parrocchie, uscire e andare a cercare le persone là dove vivono, dove soffrono, dove sperano. L’ospedale da campo, l’immagine con la quale mi piace descrivere questa «Chiesa in uscita», ha la caratteristica di sorgere là dove si combatte: non è la struttura solida, dotata di tutto, dove ci si va a curare per le piccole e grandi infermità. È una struttura mobile, di primo soccorso, di pronto intervento, per evitare che i combattenti muoiano. Vi si pratica la medicina d’urgenza, non si fanno i check-up specialistici", spiega il Papa.

L'auspicio di Papa Francesco, espresso nel libro 'Il nome di Dio è Misericordia', è "che il Giubileo straordinario faccia emergere sempre di più il volto di una Chiesa che riscopre le viscere materne della misericordia e va incontro ai tanti 'feriti' bisognosi di ascolto, comprensione, perdono e amore".

La corruzione "è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umili, viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere. Non ci sentiamo più bisognosi di perdono e di misericordia, ma giustifichiamo noi stessi e i nostri comportamenti", scrive ancora Papa Francesco nel libro.

"Gesù dice ai suoi discepoli: se anche un tuo fratello ti offende sette volte al giorno e sette volte al giorno torna da te a chiederti perdono, tu perdonalo. Il peccatore pentito, che poi cade e ricade nel peccato a motivo della sua debolezza, trova nuovamente perdono, se si riconosce bisognoso di misericordia. Il corrotto, invece, è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere cristiano, e con la sua doppia vita dà scandalo", sono le parole di Francesco in un brano pubblicato dal quotidiano 'la Repubblica'.

"Il corrotto non conosce l’umiltà, non si ritiene bisognoso di aiuto, conduce una doppia vita. Nel 1991 avevo dedicato a questo tema un lungo articolo, pubblicato come piccolo libro Corrupción y pecado. Non bisogna accettare lo stato di corruzione come se fosse soltanto un peccato in più: anche se spesso si identifica la corruzione con il peccato, in realtà si tratta di due realtà distinte, seppure legate tra loro", osserva Francesco.

"Il peccato, soprattutto se reiterato, può portare alla corruzione, non però quantitativamente – nel senso che un certo numero di peccati fanno un corrotto – quanto piuttosto qualitativamente: si generano abitudini che limitano la capacità di amare e portano all’autosufficienza. Il corrotto si stanca di chiedere perdono e finisce per credere di non doverlo più chiedere".

"Non ci si trasforma di colpo in corrotti, c’è un declino lungo, nel quale si scivola e che non si identifica semplicemente con una serie di peccati. Uno può essere un grande peccatore e ciononostante può non essere caduto nella corruzione. Guardando al Vangelo -aggiunge il Papa- penso ad esempio alle figure di Zaccheo, di Matteo, della samaritana, di Nicodemo, del buon ladrone: nel loro cuore peccatore tutti avevano qualcosa che li salvava dalla corruzione".

"Erano aperti al perdono, il loro cuore avvertiva la propria debolezza, e questo è stato lo spiraglio che ha fatto entrare la forza di Dio. Il peccatore, nel riconoscersi tale, in qualche modo ammette che ciò a cui ha aderito, o aderisce, è falso. Il corrotto, invece -conclude il Papa- nasconde ciò che considera il suo vero tesoro, ciò che lo rende schiavo, e maschera il suo vizio con la buona educazione, facendo sempre in modo di salvare le apparenze".

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