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Pci, Poletti: "Io comunista e riformista non ho mai condiviso le scissioni"

19 gennaio 2021 | 13.10
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Giuliano Poletti (Fotogramma) - FOTOGRAMMA
Giuliano Poletti (Fotogramma) - FOTOGRAMMA

Dal Pci al Pd, una lunga militanza, anche se "con consenso e dissenso" , ma senza mai mettere in discussione l'appartenza al partito e mai condividere scissioni vecchie e nuove. E a ripercorrere con l'Adnkronos le tappe di questa lunga storia è Giuliano Poletti, l'ex ministro del Lavoro durante il governo Renzi e Gentiloni e presidente di Legacoop nazionale dal 2002 al 2014, in occasione del Centenario della nascita del Pci che si celebra il 21 gennaio prossimo. "Sono nato in una famiglia di contadini in Romagna, dove 9 su 10 erano iscritti al Partito Comunista ma siccome sono nato nel ‘51 e ho vissuto il ’68, quando si contestavano i genitori e tutto quello che rappresentava il passato, non ho aderito subito al Pci. La mia cultura a 17 anni era più liberale e riformista e per qualche anno ho mantenuto una mia autonomia dialettica", racconta.

Tuttavia, "siccome mio zio era segretario della sezione del Pci nel mio paese, Spazzate Sassatelli (una frazione di Imola), passato il ’68, il 'problema' familiare si risolse e mi iscrissi al Pci". E' un ricordo di quegli anni ancora vivo per Poletti, raggiunto telefonicamente a Imola, dove oggi vive, lontano dai Palazzi della politica di Roma.

"Ho iniziato a lavorare facendo il tecnico agricolo, poi sono stato assessore alle attività agricole del Comune di Imola e per otto anni segretario della federazione di Imola del Pci negli anni ’80. Mi ricordo quando nell’84 partecipai, purtroppo, ai funerali di Enrico Berlinguer" racconta con una vena di nostalgia.

"Ma a un certo punto decisi di lasciare l’attivismo e di tornare all’attività professionale che non avevo mai abbandonato, essendo presidente dell’ente di ricerca della viticoltura e dell’enologia dell’Emilia Romagna". Ma non andò così. Giuliano Poletti venne chiamato dall’onorevole Bruno Solaroli, ex sindaco di Imola, poi parlamentare e sottosegretario al Tesoro nel primo e secondo governo D’Alema e nel governo Amato, che lo apostrofò bonariamente: ‘ti sei sbagliato amico, se pensi, dopo venti anni che ti abbiamo insegnato come si sta al mondo, di andare a dormire ubriaco sotto le viti…”, sorride Poletti mentre racconta l’episodio. E così, pochi giorni dopo, Solaroli gli disse che i cooperatori imolesi avevano bisogno di un presidente. E da lì 30 anni di cooperazione…”. Poletti tornò così al mondo delle cooperative nel momento in cui il Pci smise di esistere, nell’89, quando cadde il muro di Berlino.

"Il Pci nella realtà emiliano-romagnola l’ho visto concretamente realizzato nelle coop e nei sindacati – ricorda l’ex ministro-cooperatore - e credo abbia fatto bene all'Italia un partito come quello dopo il fascismo, che ha partecipato alla elaborazione della Carta Costituzionale, che ha difeso la democrazia in tutte le forme. Con il senno di poi, però, credo che avrebbe fatto bene a separare prima le proprie sorti da quelle dell'Unione sovietica".

Poletti va ancora indietro con la memoria. "Ricordo un aneddoto quando ero segretario della federazione del Partito Comunista a Imola: ero a casa quando Enrico Berlinguer dichiarò in tv che si era esaurita la spinta propulsiva della rivoluzione russa e, se da una parte mi sono detto ‘Finalmente!’, Trenta secondi dopo mi sono posto il problema di che cosa avrei detto l’indomani mattina in ufficio a tutti i compagni storici che vedevano nell’Urss un grande punto di riferimento. Cosa gli racconto? Mi sono detto".

"Ma nella realtà imolese – aggiunge Poletti - non ci furono grandi problemi perché la cultura politica emiliano-romagnola era già arrivata da tempo, forse c’era qualcuno un po’ più affezionato alla storia e alla bandiera ma il passaggio fu piuttosto tranquillo".

"A volte succede che i gruppi dirigenti si preoccupino troppo delle basi politiche e associative che, invece, sono più mature di quanto uno si immagini. Credo che questo sia successo più volte nel Pci. La scissione era un terrore all’epoca: la preoccupazione che si potesse creare una frattura alla fine ha prodotto l’esito di non dare forza alle idee che si avevano. – ammette Poletti – anche se l’Emilia Romagna aveva dimostrato di essere in grado di garantire una società più equilibrata senza fare la rivoluzione".

"Io ho vissuto le varie scissioni sulla base di un principio elementare che mi ha guidato per tutta la vita - prosegue Giuliano Poletti - e cioè: quando hai scelto un'organizzazione stai lì, discuti, combatti, sostieni, ma stai lì. Quindi, ho seguito tutte le varie fasi del cambiamento dal Pci al Pds, dai Ds al Pd con consenso e dissenso su varie situazioni ma non ho mai avuto una virgola di dubbio se continuare a stare in questa organizzazione".

"Io oggi sto nel Partito democratico come stavo nel Pci, - aggiunge - l’ho fatto nella convinzione che avevo la possibilità di dire la mia opinione e di lavorare perché si affermassero opinioni che condividevo. Non sono mai stato attratto da scissioni di nessun tipo". "Non mi pare una buona pratica democratica quella di andare via - spiega Poletti - ogni volta che l’organizzazione dove sto non fa quello che dico io. Non ho condiviso la scissione di Bersani, non ho condiviso quella di Renzi e non ne condividerò altre domani, se mai ci fossero". (di Cristina Armeni)

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