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Pd in agitazione

12 luglio 2018 | 06.59
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(FOTOGRAMMA)
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La questione non è cosa delle ultime ore. E il decreto Dignità di Luigi Di Maio ha fatto riemergere una dialettica che si era già manifestata ai tempi dei tentativi di formazione del governo. Una parte del Partito democtratico pronta a sedersi al tavolo con i 5 Stelle e andare a vedere le carte. L'altra, quella di Matteo Renzi, nettamente contraria con lo stesso ex segretario che stroncò sul nascere, via Fabio Fazio in Tv, ogni dibattito sull'aprire o meno al M5S alla vigilia di una Direzione dem, convocata ad hoc, sulla faccenda.

Per i renziani, i grillini sono da considerare avversari, un unico fronte con la Lega di Matteo Salvini come ribadì Renzi al Senato in occasione della fiducia al governo Conte disegnando un nuovo bipolarismo con M5S-Lega da una parte e il Pd dall'altra. Per gli altri, da Dario Franceschini a Andrea Orlando, i 5 Stelle possono essere un interlocutore. Anche il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, si è mostrato aperturista rispetto ai un dialogo con M5S sulla cose da fare, nel merito e non politicista, specificano i suoi. "Io penso che noi dobbiamo dialogare certamente con i 5 Stelle, perché questo dialogo è utile al Paese. Con la Lega non ci sono le condizioni per un dialogo vero, sui provvedimenti. Con i 5 Stelle ci potrebbero essere. Ma dipende molto se loro non si schiacciano sulla Lega'', ha detto il capogruppo.

Due linee che si inseriscono nella dialettica congressuale che attende i dem e che ha come punto immediato di ricaduta l'atteggiamento da tenere sul dl Dignità. I renziani fanno muro su ogni ipotesi di prendere in considerazione l'ok al provvedimento. Scendono in campo Andrea Marcucci, Maria Elena Boschi, Dario Parrini per sottolinearlo. Anche Maurizio Martina si schiera: "Invotabile" dice del decreto. Altri nel Pd la pensano diversamente.

MEDIAZIONE - Lorenzo Guerini prova a mediare tra le due linee: "Aspettiamo di vedere il testo che è in enorme ritardo. Nel complesso, da quello che abbiamo letto, l'impianto è invotabile. Poi, sui singoli punti faremo delle valutazioni di merito". La questione comunque si inserisce in un dibattito più ampio su quale ruolo, progetto, strategia dovrà tenere il Pd nel prossimo futuro.

Per Matteo Orfini si tratta di un dibattito da stroncare subito: "Io veramente a volte non riesco a capirci. Il decreto dignità è un pasticcio, che farà danni. Invece da noi inizia un dibattito assurdo: dobbiamo sostenerlo perché così facciamo sponda a Di Maio contro Salvini e riusciremo a convincerlo a governare con noi. O peggio, siccome modifica il jobs act è giusto a prescindere perché se lo votiamo diamo un segnale di discontinuità rispetto a quanto fatto prima. E così interloquiamo meglio con Bersani e D'alema. Una posizione è dettata dal tentativo di fare una manovra di palazzo. L'altra dall'ennesimo gioco ad alimentare lo scontro interno in chiave congressuale".

Ribatte l'orlandiano Andrea Martella: "Sorprende che il presidente del partito, Matteo Orfini, cerchi di ricondurre osservazioni di merito sul cosiddetto decreto dignità a uno scontro congressuale fra correnti. Sembra che, al contrario di quello che afferma, sia proprio lui a vedere tutto in questa particolare luce. Discutiamo di contenuti per favore ed evitiamo polemiche sterili e improduttive".

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