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Pediatri: 'in Italia poche terapie intensive per bambini con circa 202 posti'

27 maggio 2021 | 10.56
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Pediatri: 'in Italia poche terapie intensive per bambini con circa 202 posti'

Il Covid-19 ha colpito i bambini in maniera molto meno grave rispetto alla popolazione adulta. Ma se così non fosse stato saremmo stati in grado di gestire un’emergenza di queste proporzioni? Gli esperti fanno il punto al 76° Congresso della Società Italiana di Pediatria dove vengono presentati i dati di un monitoraggio sulle terapie intensive pediatriche in Italia.

"Le terapie intensive pediatriche nel nostro Paese sono poche, 23 in tutto, mediamente di piccole dimensioni distribuite in modo non omogeneo sul territorio nazionale e in un numero nettamente inferiore alle terapie intensive neonatali pari a 116", afferma Rinaldo Zanini, pediatra, già direttore del dipartimento Materno infantile dell'Azienda ospedaliera di Lecco. Va subito sottolineato – aggiunge Zanini - che nel nostro Paese non esiste una modalità certa e riconosciuta per identificare i reparti di terapia intensiva pediatrica perché manca il codice identificativo della disciplina, codice che - rileva - esiste per tutte le altre branche della medicina. Questa mancanza rende molto difficile valutare con esattezza il numero di letti e i reparti. È possibile unicamente fare delle approssimazioni con calcoli complicati".

E approssimando, "complessivamente - prosegue l'esperto - i letti di terapia intensiva pediatrica in Italia sono circa 202 con una media di 3 posti letto per 1 milione di abitanti, ben al di sotto della media europea pari a 8. Questa differenza diventa ancora più evidente se valutiamo ciascuna regione: qui si va dai 2 letti ogni milione di abitanti della Puglia ai 10,6 della Liguria, passando per alcune regioni che non hanno alcun posto letto di terapia intensiva pediatrica (Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige, Umbria, Abruzzo, Sardegna Molise, Basilicata)".

'Terapia intensiva pediatrica migliora prognosi rispetto a ricoveri in terapie intensive per adulti'

Offrire ai pazienti pediatrici di essere assistiti in unità di terapia intensiva dedicate significa inoltre "migliorare la prognosi rispetto ai bambini che vengono ricoverati in terapie intensive per adulti", spiega l'esperto. Un altro dato importante è legato, infine, alla mortalità dei pazienti di terapia intensiva pediatrica che "aumenta nel caso di unità operative a basso volume, rispetto a quelle ad alto volume".

"Le migliori performance ottenute dalle terapie intensive pediatriche rispetto a quelle dell’adulto derivano da diverse ragioni”, spiega Corrado Cecchetti, responsabile dell’area rossa del Dipartimento di Emergenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. "Le terapie intensive pediatriche sono tarate sui bambini, vi è un’elevata specificità non solo dei device, ma anche delle competenze dell’intensivista pediatrico. Esiste infatti una specificità delle patologie pediatriche (patologia metabolica, respiratoria, malformativa ecc) rispetto quelle dell’adulto in cui sono fortemente rappresentate quelle respiratorie croniche e i traumi esiti di danno cerebrale e cardiaco".

Ma come migliorare la risposta assistenziale che oggi le terapie intensive pediatriche sono in grado di offrire? "Ci sono eccellenze straordinarie nel nostro Paese, ma manca una rete e occorrono più posti letto”, aggiunge Zanini. Come mettere insieme le competenze delle terapie intensive neonatali, delle terapie intensive pediatriche e terapie intensive con esperienza intermedia in ambito pediatrico e fare rete?

"Definendo un modello hub&spoke che abbia la capacità di intercettare nei piccoli ospedali sul territorio gli eventi critici di area pediatrica e quindi distribuire i pazienti, secondo un doppio gradiente gravità/età, in terapie intensive pediatriche di I o di II livello o in super hub dove - illustra il pediatra - ci sono possibilità e competenze per applicare terapie particolari come ad esempio l'Ecmo. In questa rete potrebbero entrare le terapie intensive neonatali per il trattamento di casi legati di patologie infettive o respiratorie come supporto alle terapie intensive pediatriche che non sono sufficienti o sono addirittura assenti", conclude Zanini.

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