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Professioni: periti industriali, senza tecnici non c'è ripresa

07 novembre 2016 | 15.22
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Professioni: periti industriali, senza tecnici non c'è ripresa

Pochi brevetti, basso fatturato da innovazione e una crescita del Pil tra le più basse d’Europa: queste, secondo una ricerca realizzata dal Centro studi Opificium del Consiglio nazionale dei periti industriali, alcune conseguenze della mancanza di profili tecnici. La ricerca 'Innovare per crescere. Le professioni tecnico ingegneristiche motore della ripresa' ha come base le banche dati Unioncamere, Eurostat e Istat ed evidenzia che mentre in Europa, negli anni della crisi, è cresciuto il patrimonio di competenze tecniche, necessarie a tenere il passo dell’innovazione e a riagganciare la ripresa, in Italia è avvenuto l’opposto.

Il numero dei tecnici è diminuito (-0,3%, rispetto al +6% in Europa), rileva lo studio, e il mancato rinnovamento del capitale professionale ha contribuito ad aumentare il divario tra il nostro Paese e l’Europa, sia in termini di innovazione che di crescita (meno brevetti, basso export e fatturato da innovazione). Per non parlare della diminuzione del Pil sceso in Italia del 3,2% tra il 2010 e il 2015, a fronte delle principali economie europee che lo hanno visto aumentare (Regno Unito +10,4%, Germania +8,2% e Francia +4,8%).

Di questo si parla oggi, a Roma, nella Nuova aula del gruppo dei palazzi parlamentari, al convegno 'Innovare per crescere. I tecnici dell'ingegneria motore della ripresa', organizzato dal Consiglio nazionale dei periti industriali. Per quanto l’Italia vanti un livello di incidenza di professionalità tecniche sul complesso della forza occupazionale in media con il resto d’Europa (17,7%), spiega la ricerca dei periti industriali, questo risulta però inferiore a quello di Paesi come la Germania (22,6%) e la Francia (20,4%) che, al pari del nostro, presentano una spiccata vocazione manifatturiera.

Negli ultimi cinque anni, poi, mentre in Europa il numero dei lavoratori tecnici è andato crescendo (+6% tra 2011 e 2015), con punte in Germania, Irlanda e Svezia intorno al 15%, in Italia ha subito una flessione (-0,3%), passando da 3 milioni 939 mila a 3 milioni 925 unità.

E’ emblematico quanto rilevato da un recentissimo studio dell’Eurostat che conferma la bassa capacità di presidio del Paese in uno dei settori tecnici più innovativi dell’economia, le Ict. Con il 2,5% di occupati, sul totale dei lavoratori, l’occupazione in questo settore riveste in Italia un ruolo del tutto residuale, se comparato al resto d’Europa (dove la percentuale si attesta al 3,5%) e a Paesi quali Francia (3,6%), Germania (3,7%), Paesi Bassi (5%), Regno Unito (5%).

Alla riduzione della base occupazionale è corrisposto, inoltre, il rallentamento dei processi di ricambio generazionale, con il risultato che oggi, su 100 lavoratori occupati in posizioni tecniche intermedie, 'solo' il 35,7% ha meno di 40 anni. "Un mancato rinnovamento di professionalità tecniche che ha influito anche in termini di innovazione: se guardiamo, infatti, ai principali indicatori disponibili a livello europeo, l’Italia presenta un gap rispetto alle altre economie che poco si addice alla settima economia del mondo", spiegano i periti industriali.

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