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Piazza Fontana, le verità sulla strage 50 anni dopo

10 dicembre 2019 | 13.44
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Dalla pista anarchica alla matrice neofascista, tutto quello che c'è da sapere sulla tragedia che diede inizio alla strategia della tensione

Foto Fotogramma - FOTOGRAMMA
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Di Antonietta Ferrante
La madre di tutte le stragi. Piazza Fontana, le verità sulla strage 50 anni dopo segna l'inizio della strategia della tensione che caratterizza la storia del Paese e 50 anni dopo rimane una delle vicende più complesse da spiegare e non solo dal punto di vista giudiziario. Le lunghe indagini sono state segnate da depistaggio ed errori, la matrice neofascista è stata svelata, i colpevoli sono stati identificati ma nessuno ha scontato la pena.

Sono le 16.37 di venerdì 12 dicembre 1969 quando una bomba esplode nell'androne principale della Banca nazionale dell’agricoltura di piazza Fontana a Milano. L'esplosivo, almeno 7 chili di tritolo, è contenuto in una valigetta messa sotto il bancone al centro del salone e collegato a un timer. Il bilancio finale è di 17 morti e 88 feriti. Quasi in contemporanea esplode un ordigno in un sottopassaggio della Banca nazionale del lavoro di via Veneto a Roma, un altro vicino all’Altare della Patria e un terzo al Museo del Risorgimento, sempre nella capitale. Un’altra bomba viene trovata prima che esploda nella sede della Banca Commerciale di piazza della Scala a Milano. La città e l'Italia piombano nell'incubo dello stragismo.

Le indagini imboccano subito la pista anarchica: vengono fermati e interrogati esponenti del circolo del Ponte alla Ghisolfa, tra i quali il ferroviere Giuseppe Pinelli che morirà il 15 dicembre mentre viene interrogato in questura di Milano. Il 16 dicembre viene arrestato con l’accusa di essere l’autore materiale della strage l’anarchico Pietro Valpreda appartenente al gruppo XXII Marzo: decisiva risulta la testimonianza del tassista Cornelio Rolandi, che riconosce in lui il passeggero con una valigetta lasciato vicino a piazza Fontana pochi minuti prima del massacro.

Le certezze iniziali svaniscono e le indagini virano: si scopre che le borse utilizzate per contenere l'esplosivo sono stata acquistate a Padova e che il timer dell'ordigno proviene da Treviso. Da questi indizi si arriva ad indagare negli ambienti di eversione nera. I primi neofascisti ad essere individuati come coinvolti nell'attentato sono Franco Freda e Giovanni Ventura. Il primo viene riconosciuto a Padova come l’acquirente di alcune valigette simili a quella esplosa nella Banca dell’Agricoltura mentre una ditta di Bologna lo indica come il cliente che ordinò dei timer. E il 13 marzo del 1971 quando Ventura viene arrestato come ideatore della strage insieme a Freda. L'indagine coinvolge anche Guido Giannettini, appartenente al Sid, esperto e studioso di tecniche militari. Il suo nome viene fuori nelle indagini dopo le dichiarazioni di Guido Lorenzon. Valpreda si trova ancora in carcere quando nel 1971, si scopre per caso un arsenale di munizioni Nato in casa di un esponente veneto di Ordine Nuovo. Tra le armi ritrovate sono presenti delle casse dello stesso tipo di quelle utilizzate per contenere gli ordigni in piazza Fontana.

Il 23 febbraio 1972 inizia a Roma il processo, trasferito a Milano per competenza territoriale poi a Catanzaro per motivi di ordine pubblico. Il 18 gennaio 1977 parte il dibattimento che si conclude il 23 febbraio 1979 con l'ergastolo per Freda, Ventura e Giannettini. Quattro anni e mezzo vengono inflitti a Valpreda e Merlino per associazione sovversiva. Il 12 agosto 1979 Ventura viene arrestato a Buenos Aires e il 23 agosto 1979 Freda viene catturato in Costa Rica. Nell'appello celebrato a Catanzaro nel 1981, i giudici assolvono per insufficienza di prove dall'accusa di strage Freda e Ventura, confermate le condanne di Valpreda e Merlino per associazione sovversiva. Giannettini viene assolto.

La storia giudiziaria è solo agli inizi: il 10 giugno 1982 la Cassazione annulla la sentenza d'appello di Catanzaro e rinvia il processo a Bari con la conferma della sola assoluzione di Giannettini. Il 1 agosto 1985 a Bari la corte d'Assise d'appello assolve per insufficienza di prove Freda, Ventura, Merlino e Valpreda. Due anni dopo il 27 gennaio 1987 la Cassazione respinge i ricorsi degli imputati di Bari contro la sentenza di secondo grado, rendendola definitiva. 

La vicenda riserva sempre nuove sorprese: il 27 marzo 1987 a Caracas finisce in manette Stefano Delle Chiaie che sarebbe coinvolto nella vicenda con Massimiliano Fachini, il primo considerato esponente di spicco di Ordine Nuovo, il secondo ritenuto leader dell'organizzazione eversiva Avanguardia nazionale. Il 20 febbraio 1989 la Corte d'Assise di Catanzaro assolve Delle Chiaie e Fachini per non avere commesso il fatto. 

L'11 aprile 1995 a Milano, con una inchiesta parallela sull'estremismo di destra, il giudice istruttore Guido Salvini rinvia a giudizio Giancarlo Rognoni, Nico Azzi, Paolo Signorelli, Sergio Calore, Carlo Digilio e Ettore Malcangi e trasmette a Roma gli atti che riguardano Licio Gelli per il reato di cospirazione politica. La nuova inchiesta sulla strage è affidata ai pm Maria Grazia Pradella e Massimo Meroni. Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi di Ordine Nuovo sono iscritti nel registro degli indagati con l'accusa di strage. Dopo quattro anni l'8 giugno 1999 vengono rinviati a processo Zorzi, Maggi e Giancarlo Rognoni; nei confronti di Stefano Tringali viene contestato il favoreggiamento. In seguito viene rinviato a giudizio anche Carlo Digilio. Il 24 febbraio 2000 davanti ai giudici della II Corte d'Assise di Milano inizia l'ennesimo processo.

Il 30 giugno 2001 i giudici nell'aula bunker di San Vittore accolgono le conclusioni dell'accusa e condannano Zorzi, Maggi e Rognoni all'ergastolo. Stefano Tringali viene condannato a tre anni, mentre i giudici ravvisano la prescrizione per Digilio.  Il 16 ottobre 2003 comincia il processo d'appello e il sostituto procuratore generale Laura Bertolé Viale chiede la conferma della sentenza di primo grado.

Il 12 marzo 2004 i giudici d'appello assolvono tutti gli imputati. Per non aver commesso il fatto per Giancarlo Rognoni e con la stessa formula, ma in base all'articolo 530 del codice di procedura penale (la vecchia insufficienza di prove), per Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi (da tempo diventato cittadino giapponese).  Il 21 aprile 2005 il processo approda di nuovo in Cassazione e il 3 maggio la suprema Corte chiude definitivamente la vicenda giudiziaria confermando definitivamente le assoluzioni di Zorzi, Maggi e Rognoni. I familiari delle vittime sono invece condannati a pagare le spese processuali.

Per i supremi giudici, che riconoscono alcune lacune nelle indagini, la strage di piazza Fontana fu opera di Ordine Nuovo; gli ideatori vengono individuati in Freda e Ventura che però non possono essere condannati in quanto già assolti in via definitiva dalla sentenza del 1987. Nemmeno quest’ultima indagine riesce a identificare chi materialmente portò la valigetta con l’esplosivo all’interno della banca dell’Agricoltura.

Nel 2012 va in archivio l'ultima indagine segreta sulla strage del 12 dicembre 1969. In una lunga richiesta di archiviazione a carico di ignoti, la procura di Milano ritiene di escludere che le nuove dichiarazioni di tre testimoni coltivate dal colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo possano avere un minimo valore processuale; e liquida con un giudizio di "assoluta inverosimiglianza" la teoria della doppia bomba. 

L'ordigno alla Banca dell'agricoltura segna la storia del Paese e l'inizio di una lunga stagione di ombre, depistaggi, tentativi di occultare la verità e battaglie coraggiose di cittadini, magistrati e uomini delle forze dell'ordine per evitare che alla verità non si arrivasse mai. E' sbagliato dire che Piazza Fontana è una strage senza colpevoli eppure se la giustizia ha stabilito matrice e in parte colpevoli anche dopo 50 anni resta la sensazione di impunità.

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