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Pinocchio parla siciliano per l'omaggio dello Stabile di Catania a Franco Scaldati

09 luglio 2021 | 17.58
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In scena per la stagione estiva del 'Verga' al cortile Platamone - Interviste alla regista Livia Gionfrida e all'attrice Aurora Quattrocchi

Pinocchio parla siciliano per l'omaggio dello Stabile di Catania a Franco Scaldati

'Pinocchio' non parla più toscano, ma siciliano, per l'esattezza palermitano, almeno per i dieci giorni che vanno dal debutto di ieri sera e fino al 18 luglio, in cui lo spettacolo con musiche va in scena al cortile Platamone del palazzo della Cultura di Catania nella versione firmata dallo scrittore, regista e attore palermitano Franco Scaldati, prodotto dal teatro Stabile di Catania in collaborazione con il teatro Metropopolare di Prato, 'consentendo' così in qualche modo alla Toscana di 'rientrare' e in parte 'riappropriarsi' dell'opera del suo Collodi.

Nei ruoli principali, tre di tradizione palermitana e tre catanese, con un gioco di musicalità e di accenti voluto e amalgamato dalla regista Livia Gionfrida, si cimentano Domenico Ciaramitaro, uscito dalla scuola di Emma Dante, per Pinocchio, Aurora Quattrocchi per la Fata Turchina, Serena Barone per il Grillo Parlante, Manuela Ventura per Geppetto, Cosimo Coltraro per Mangiafuoco e Alessandra Fazzino per la sua prima attrice.

Il manoscritto non è un'opera teatrale compiuta, ma Scaldati traduce dall'italiano al siciliano il testo collodiano, con una didascalia finale che annuncia un finale completamente diverso dall'originale. Il burattino toscano di Collodi che alla fine assume una identità in carne e ossa, qui è un pupo siciliano e tale resta, al di là di una esortazione finale del Pescecane a trasformarsi in un pirata del mare, assieme a Lucignolo e al suo babbo Geppetto, a esprimere una figura libera.

"Non c'è un giudizio definito sulle anime di queste figure, di questi 'spiriti commedianti' che si alternano affamati sul palcoscenico del teatro e della vita, in un gioco di luci e ombre. E soprattutto - sottolinea all'AdnKronos la regista Livia Gionfrida, che dello spettacolo firma anche l'adattamento, la scenografia con Vincenzo La Mendola e i costumi - non c'è moralismo in quest'opera, ma c'è una grande morale, fatta paradossalmente di verità e di sincerità, visto che si parla di Pinocchio spesso ridotto dalla morale comune al burattino dal naso lungo per le bugie che ripeteva".

Ma al tempo stesso, il finale potrebbe anche richiamare l'eco di un ennesimo episodio del ciclo dei vinti verghiano, in cui i Malavoglia come Mastro-Don Gesualdo non riescono a cambiare la loro natura, restano quel che sono, come questo Pinocchio siciliano che rinnovando una sorta di 'morale dell'ostrica' cara a Giovanni Verga - cui è intitolato il teatro stabile catanese, diretto da Laura Sicignano e ora 'ravvivato' nella sua sede al rione Cibali anche da un grande murales a più piani e a più mani, frutto del lavoro artigianale di un gruppo di dieci artiste siciliane - pupo è e pupo resta, pur con la prospettiva aperta di un futuro piratesco.

"C'è più Scaldati che Collodi in questa rappresentazione - spiega ancora Livia Gionfrida - Ho vissuto in Sicilia tutta la mia infanzia e adolescenza e parte della mia giovinezza, poi sono partita per varie destinazioni come tanti siciliani e questa per me è una straordinaria occasione, anzitutto artistica ma anche personale, di tornare a lavorare in Sicilia il cui richiamo in me resta sempre molto forte e di rendere omaggio a questo grande artista".

Anche per l'attrice Aurora Quattrocchi, la Fatina nel 'Pinocchio', intervenuta alla conversazione su Scaldati organizzata nel barocco Monastero delle Benedettine e intervistata dall'AdnKronos, "Franco Scaldati ha un posto d'onore nella mia attività artistica di attrice, visto che con lui ho esordito e ora su un suo testo sono impegnata in quello che finora è il mio ultimo lavoro: mi sembra miracoloso, a distanza di tanti anni, mi verrebbe da dire a distanza di secoli... Perché sono vecchia e fiera di esserlo: ma guai a definirmi anziana, è una ipocrisia che non tollero! E la messinscena di questo 'Pinocchio' inizia proprio con un monologo che in realtà è un vero e proprio dialogo con lui, perché io avverto la sua presenza ancora sul palco, sento che c'è e accanto a lui continuo ad andare avanti".

(dell'inviato Enzo Bonaiuto)

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