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Pma, la psicologa: "Importante personalizzare comunicazione"

12 marzo 2019 | 15.45
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La prof.ssa Vegni, la dott.ssa  Razzano, il prof. La Marca
La prof.ssa Vegni, la dott.ssa Razzano, il prof. La Marca

"In un ambito così delicato come quello della procreazione medico assistita (Pma), l'aspetto della personalizzazione delle cure deve essere completato personalizzando anche la comunicazione, e in questo i medici devono fare uno sforzo insieme a noi". Così Elena Vegni, psicologa clinica all'Università degli studi di Milano, commenta il primo studio sugli aspetti psico-emotivi durante i colloqui nei percorsi di Pma, realizzato da un'equipe da lei guidata.

"Occorre entrare nel merito delle aspettative, dei desideri e dei pensieri di ciascuna coppia - ha aggiunto Vegni - in modo tale che il percorso di cura sia il più adeguato possibile". La ricerca ha dimostrato come la comunicazione tra il ginecologo e le coppie sia fortemente centrata sugli aspetti informativi del percorso della Pma, mentre sono meno esplorati gli aspetti psicologici ed emotivi, che invece sono fondamentali in tutte le fasi di questo percorso.

"Una maggiore personalizzazione dell’approccio psicologico, oltre che farmacologico, con uno stimolo al contributo attivo da parte di entrambi i partner - ha osservato Vegni - sarebbe auspicabile per perseguire una maggiore soddisfazione della coppia in questo percorso complesso". I risultati di questo primo studio hanno rivelato una serie di elementi significativi, come ad esempio la positività che emerge da alcune conversazioni tra i medici e le coppie intenzionate a seguire un percorso di pma: "Abbiamo notato con sorpresa - ha sottolineato Vegni - che ci sono parti di conversazioni che esprimono ottimismo, a volte addirittura battute, come se ci fosse l'esigenza di tenere da parte l'aspetto emotivo e stemperarlo in questo modo".

"L'altro aspetto interessante - ha concluso Elena Vegni - è che i percorsi di Pma hanno al centro la coppia, ma stranamente l'uomo in queste visite ha uno spazio residuale, anche se noi sappiamo dai dati preliminari che poi l'uomo condiziona molto le scelte di prosecuzione della cura. Il nostro obiettivo è quindi capire come coinvolgere gli uomini in questo percorso".

Il carico psicologico risulta particolarmente gravoso per quelle pazienti, affette da tumore, che decidono di ricorrere alla crioconservazione degli ovociti per preservare la fertilità prima di sottoporsi alla chemioterapia, che compromette la capacità riproduttiva. Lo studio Preserviamo, realizzato dal Centro di Fisiopatologia della Riproduzione e Pma della Clinica Universitaria del Sant’Anna di Torino, ha analizzato l’esperienza di alcune di queste donne con l’obiettivo di individuare valori e criticità del percorso, al fine di migliorare la cura. Dopo la preservazione della fertilità, l’89% delle pazienti ha sostenuto di aver affrontato il trattamento del cancro con un atteggiamento più positivo.

"Le pazienti hanno trovato efficace il supporto integrato - ha spiegato Alessandra Razzano, psicologa e psicoterapeuta dell’Ospedale Sant’Anna di Torino, che ha guidato lo studio- sostenendo che aver crioconservato il loro patrimonio ovocitario ha avuto un significato di speranza, al di là della possibilità concreta di cercare una gravidanza in futuro, questo perché il tema della maternità è un tema profondo che ha a che fare con l’identità femminile e che va preservato il più possibile".

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