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Quello che succede sul tuo iPhone rimane sul tuo iPhone?

09 agosto 2021 | 08.00
LETTURA: 3 minuti

Anche Apple, dopo Google e Facebook, ha annunciato in questi giorni il piano di introdurre un software in grado individuare immagini pedopornografiche sui dispositivi. Sollevando qualche critica sul tema della protezione dei dati

 - Da Apple.com
- Da Apple.com

La compagnia ha spiegato che il software arriverà agli utenti statunitensi verso fine anno, e sarà parte di una serie di misure messe in atto dalla stessa Apple per la protezione dei minori dagli abusi sessuali. Il sistema Apple userà le tecniche più recenti in materia di crittografia e intelligenza artificiale per identificare il materiale pedopornografico archiviato su iCloud Photos. Usando un software installato sia sul device che sul Cloud, Apple individuerà la presenza di immagini che combaciano con quelle di database esistenti. Se un certo numero, non meglio specificato, di queste foto arriva su iCloud, Apple interverrà per visionarle e in caso si tratti effettivamente di immagini illegali riporterà il caso al National Center for Missing and Exploited Children un’organizzazione no profit con mandato dal congresso che funge da “stanza di compensazione” nei casi di abuso su minori.

La mossa di Apple non è una novità: anche Google utilizza dal 2008 un sistema di identificazione di immagini sospette, e Facebook ha di recente annunciato di aver rimosso nel 2019, in soli tre mesi, oltre 11 milioni e mezzo di contenuti collegati a nudità di minori e abusi sessuali su bambini. Per Cupertino però si tratta di un cambio di rotta importante, data la sua fama di integrità assoluta nell’ambito della protezione dei dati degli utenti, ma a quanto dicono dalla Apple il nuovo software non è una marcia indietro: eviterà infatti in futuro il bisogno che le immagini sul Cloud vengano controllate dai server della compagnia. Gli esperti Apple hanno spiegato infatti che il software scoprirà il meno possibile riguardo alle immagini contenute negli archivi personali, perché non scansione le fotografie ma si basa sula comparazione degli hash che le contraddistinguono.

I sostenitori della privacy però sostengono che con questa mossa Apple si stia addentrando su un terreno scivoloso, che potrebbe portare presto a una diminuzione nella protezione dei dati degli utenti consentendo l’accesso e la censura ad altri tipi di contenuti. Non c’è preoccupazione tanto sulla privacy immediata e sul funzionamento di questo particolare software, quanto sul concetto alla base della decisione di Cupertino, che potrebbe essere solo il primo passo di un cambiamento di policy riguardo ai rapporti tra l’azienda e le forze governative. Si temono gli sviluppi soprattutto per quanto riguarda i contenuti di dissenso politico, e l’Electroinc Frontier Foundation, che finora aveva supportato a spada tratta le politiche Apple riguardo la privacy e la crittografia dei dati, ha bollato il nuovo software come l’apertura di una “porta sul retro” per dare l’accesso ai governi a dati privati e protetti.

Critiche sono arrivate anche da WhatsApp, che fa della crittografia end-to-end uno dei suoi punti forti: un sistema che non consente alla compagnia di conoscere in nessun modo il contenuto dei messaggi e dei file che vengono scambiati e archiviati. “Invece di garantire agli utenti la possibilità di denunciare con facilità i contenuti sospetti, Apple vuole installare un software che può visionare le foto archiviate sui dispositivi” ha twittato il presidente Will Cathcart, aggiungendo “WhatsApp non adotterà mai un sistema simile, questa non è privacy”.

Se pensiamo che solo nel 2019 Apple aveva lanciato una campagna pubblicitaria con lo slogan “Quello che succede sul tuo iPhone rimane sul tuo iPhone”, quest’ultima mossa appare davvero come un grande cambiamento di policy, che delude comprensibilmente i suoi sostenitori convinti di avere a che fare con un sistema che avrebbe protetto la libertà di creatività e di espressione sopra ogni cosa. Il bilanciamento delicato tra privacy e legalità, però, non si può ridurre a uno slogan, e si tratta sempre di capire dove sta il male minore tra l’accesso ai dati personali degli utenti e l’applicazione della legge, soprattutto in una materia delicata come la protezione dei minori.

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