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Rai, Saccà: "Il piano Salini-Foa salva l'Azienda, il controllo qualità resti alle reti'

04 marzo 2019 | 18.44
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Agostino Saccà
Agostino Saccà

di Veronica Marino

"Bene hanno fatto l'ad Salini, il presidente Foa e il consiglio ad avere studiato e creduto in questo piano che non mette in atto una riforma qualunque, ma risponde a una necessità, è l'uovo di Colombo di fronte all'avanzata delle piattaforme digitali, è la strada per conservare il racconto dell'Italia fatto con la tv, il cinema, la fiction e i documentari rispetto al racconto internazionale dei giganti di Internet". Per la prima volta, a due giorni dal voto sul piano industriale, Agostino Saccà, due volte direttore di Rai1 (ricordato da Pierluigi Celli come ciò che più lo rende orgoglioso dei suoi cinque anni in Rai), poi del Palinsesto e del Marketing, e ancora di Rai Fiction, infine direttore generale dell'Azienda, spiega all'Adnkronos cosa pensa della struttura portante del piano industriale scritto da Salini e poi ritoccato a seguito del confronto con il consiglio di amministrazione. Un giudizio fortemente positivo con l’indicazione di un'unica "accortezza da avere: non togliere alle reti la partecipazione al prodotto e il controllo della qualità", salvo restando che il budget deve andare alle nuove 9 direzioni di contenuto individuate dal piano industriale.

"Partiamo da un fatto – dice Saccà - la trasmissione Rai è lineare e cioè passa attraverso le reti ma il consumo dei contenuti avviene sempre di più online e cioè non attraverso mezzi che programmano i palinsesti, ma che offrono quello che l’utente chiede e che vuole inserire nel proprio menù sullo smartphone, sul tablet o sul pc. La Rai è stata dominus in Italia per anni e lo è ancora con il 40% di ascolti. E’ stata dominus assoluta perché godeva di due forze: la forza della trasmissione lineare e quindi la potenza di raggiungere con i suoi canali la maggior parte del pubblico con un palinsesto ragionato e organizzato; e la forza della sua grande cultura drammaturgica che ha espresso con la capacità di fare prodotto (cinema, documentari, fiction, cartoni animati dove è leader) attraverso le sue fabbriche, i quattro centri di produzione Rai. Oggi, però – è l’analisi di Saccà - con l’arrivo di nuovi strumenti di diffusione online, la trasmissione lineare sta perdendo sempre più forza, soprattutto sui pubblici pregiati e cioè i giovani, le classi influenti, coloro che vivono nelle aree metropolitane e cioè i pubblici di domai, quelli che investono nell’acquisto di prodotti. E contestualmente sulla fiction sono intervenute le Ott americane, vale a dire le grandi piattaforme digitali americane, quali Netflix e Amazon. E’ chiaro, quindi, che la Rai aveva la stringente necessità di trasformarsi in una grande fabbrica di contenuti multimediali realizzati per tutta l’offerta specializzata e per Raiplay, il primo grande tassello da cui il cambiamento è iniziato, il tassello che ha fatto un vero miracolo, quello di rendere fruibile il prodotto Rai a pubblici che non frequentano per nulla la Rai. E questo perché Raiplay passa attraverso una piattaforma coerente con i loro mezzi di fruizione".

"Se il Paese vuole avere la possibilità di raccontare le storie italiane e i documentari italiani – scandisce convinto Saccà – la Rai deve trasformarsi, quindi, in un una grande fabbrica di contenuti che lavora sia per la televisione lineare che non lineare. Questa è la grande sfida. La concorrenza, infatti, non è più quella di Mediaset o La7 – ma è rappresentata da tutto quello che arriva online e che oltrepassa la trasmissione lineare. Insomma – spiega Saccà - per un network nazionale, che è anche istituzionale (essendo servizio pubblico), i competitor sono le grandi piattaforme internazionali che arrivano in Italia, che scavalcano il racconto nazionale e portano un racconto internazionale. Ecco perché la Rai deve svincolare la sua produzione dalla logica della distribuzione lineare. Se la Rai, invece, non si attrezza con una grande libertà di produzione (legata alle 9 direzioni di contenuto) e con mezzi di distribuzione ad hoc (oggi c’è Raiplay ma possono nascerne altri) rischia di non poter garantire il racconto nazionale che ha fatto fino ad oggi e rischia di perdere forza gradualmente. Non è un caso che in Europa i broadcaster stanno scegliendo questo modello".

"Alcuni dati fanno capire molto bene la verità schiacciante – illustra Saccà – Dieci anni fa, nel 2007 c’erano solo 10 canali nazionali. Oggi ci sono 185 canali nazionali. E la Rai tiene perché fa un racconto nazional popolare che altri fanno meno. C’erano poi circa 35 milioni di televisori. Oggi ci sono 32 milioni di televisori tradizionali, 7 milioni di tv con decoder, 3 milioni di smart tv e 73 milioni di dispositivi collegati a pc, smartphone e tablet e quindi collegati a Internet. Non intraprendere la strada di salini e Foa significherebbe la sconfitta certa. Non si può non tenere conto di questa rivoluzione straordinaria. Come ha detto la direttrice di Rai1, Teres De Santis, a Sanremo l’avvenire è già dentro la Rai. Il Festival, infatti, ha avuto 62,1 milioni di interazioni su youtube (+19% rispetto all’anno precedente). L’ultima puntata è stata vista da circa 1 milione di persone in streaming! Su Raiplay lo hanno visto in diretta, a dimostrazione di quanto per molti conti oramai il mezzo on line, ben 2,8 milioni di persone (+24% rispetto all’anno passato). Ed inoltre sui tre social ci sono stati 17,1 milioni di messaggi (+11% rispetto all’anno precedente). Dati esponenziali che dicono quanto il piano è necessario. Ma c’è una accortezza da usare: non svilire le reti che in Italia hanno un vissuto straordinario presso il pubblico! La tv, non dimentichiamolo, è ancora al 40%!”.

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