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Rapporto Eurispes, con Covid persi 444mila posti di lavoro: 312mila sono donne

13 maggio 2021 | 11.28
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Sono le più penalizzate, divario salariale continua ad essere fra i più alti d'Europa

Immagine di repertorio (Afp)
Immagine di repertorio (Afp)

Le più penalizzate in Italia dall’impatto dell’emergenza sanitaria da Covid-19 sono le donne. Lo afferma il Rapporto Italia dell'Eurispes, secondo cui l’Istat certifica che dopo i primi dieci mesi di pandemia si sono persi 444mila posti di lavoro, 312mila dei quali sono donne, 132mila uomini. Non è difficile immaginarlo, in un Paese che non ha mai avuto un Presidente del Consiglio né un Presidente della Repubblica donna, che vede una nettissima predominanza maschile alla segreteria dei partiti, nei ministeri, nei sindacati, in tutti i ruoli istituzionali e al vertice delle grandi aziende.

Secondo Eurispes, il divario tra tasso di occupazione femminile e maschile continua ad essere tra i più alti in Europa e il Global Gender Gap Report 2020 riporta che l’Italia è solo 76esima nella classifica mondiale sulla parità salariale (ha perso 6 posizioni rispetto al 2019). Il reddito mensile medio delle donne in Italia è inferiore del 18% rispetto a quello maschile; il divario sale al 30% nelle coppie con figli (Eige, European Institute for gender Equality). Questa disparità è tanto più assurda se si considera che le donne hanno un livello medio di istruzione più alto e migliori risultati scolastici.

I motivi sono da rintracciare soprattutto nel fatto che le lavoratrici si trovano più spesso in una posizione debole, con contratti meno stabili, part-time, in settori che non consentono il lavoro a distanza. Se molto si scrive e si parla del genere dei sostantivi – direttore o direttrice, ministro o ministra, sindaco o sindaca –, decisamente meno si fa per rimediare a disparità come quella ben illustrata dai numeri relativi al mercato del lavoro nazionale ed alla mancanza di adeguati ed efficaci strumenti per la conciliazione tra impegni domestici ed extradomestici.

Carenze che troppo spesso si traducono nella rinuncia o nell’estromissione forzata delle donne italiane dal mondo lavorativo. La scelta preferenziale dei settori che permettono la conciliazione tra lavoro e famiglia, soprattutto in termini di orari (scuola, attività impiegatizie, servizi alla persona, part-time, ecc.) e la resistenza culturale che identifica alcune professioni come 'maschili' o 'femminili' penalizzano le donne, sebbene più istruite, in termini di carriera e retribuzioni. L’11,1% delle donne italiane non ha mai lavorato proprio per avere la possibilità di prendersi cura della famiglia (Oxfam 2020, 'Il valore della cura'). Le donne, inoltre, percepiscono il 37% in meno di pensione (Istat), come risultato di un percorso che vede meno ore di lavoro retribuite e le ore lavorative retribuite meno.

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