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Recovery, Fietta (Fondazione Inarcassa): 'Tempi appalti pubblici eccessivi ma cura sbagliata'

12 aprile 2021 | 18.30
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Recovery, Fietta (Fondazione Inarcassa): 'Tempi appalti pubblici eccessivi ma cura sbagliata'

"L'obiettivo, assolutamente condivisibile, è quello di dimezzare i tempi degli appalti, ma gli strumenti individuati sono completamente sbagliati. Il problema dell’eccessiva durata degli appalti, infatti, non è dato dai tempi della progettazione, come sembrerebbe dalle dichiarazioni rese dal ministro, ma dalla burocrazia, più precisamente dalla gestione da parte della Pa dei tempi di attraversamento tra le fasi, ossia il tempo che intercorre tra una fase e l’altra della realizzazione. Tempi per approvazioni, firme e procedure, assolutamente comprimibili". Ad affermarlo è il presidente della Fondazione Inarcassa, Franco Fietta commentando l'intervista di ieri al 'Corriere della Sera' del ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Enrico Giovannini nella quale ha preannunciato da un lato consistenti assunzioni nella Pa di ingegneri e architetti con lo scopo di potenziare le capacità progettuali delle strutture pubbliche, dall’altro il ritorno all’appalto integrato.

Sebbene questi tempi non siano generalmente formalizzati, rileva Fondazione Inarcassa, "il loro peso sulla durata complessiva del progetto è di assoluto rilievo. Emblematico, a tal proposito, è il 'Rapporto sui tempi di attuazione delle opere pubbliche' del 2018 redatto dall’Agenzia per la Coesione Territoriale (https://www.agenziacoesione.gov.it/?wpdmdl=3988). Lo studio dimostra inequivocabilmente che i tempi impiegati in attività collaterali da parte della PA è complessivamente del 54,3% con una punta del 69% proprio per la progettazione preliminare. Non è ammissibile che si pensi di comprimere i tempi della progettazione, lasciando sul tavolo il vero problema endemico della Pa".

Perciò, sottolinea Fietta, "nessuno nega l’esigenza di rafforzare i ruoli tecnici delle Amministrazioni ma ciò va fatto per le fondamentali fasi di programmazione e controllo del processo di esecuzione delle opere pubbliche e non per incomprensibili attività di progettazione in house, rischiando di riproporre modelli statalisti, certamente anacronistici, più onerosi e senza eguali in Europa".

Inoltre, aggiunge il presidente della Fondazione Inarcassa, "l’assunzione di persone non appare di per sé condizione sufficiente per il raggiungimento dell’obiettivo, in quanto non si realizza un servizio di ingegneria dal nulla: le stesse strutture tecniche di Italferr ed Anas, ricche di personale tecnico, si rivolgono spesso ad esterni per i servizi di tecnici. Anche dal punto di vista giuridico, non sono pochi gli aspetti problematici: in primo luogo, l’adeguato possesso dei requisiti di qualificazione per l’attività di progettazione in capo ai neodipendenti, tema essenziale e, al momento, sottaciuto. Ma pensiamo anche alla firma dei progetti, alle coperture assicurative, alla commistione tra funzioni di progettazione e di gestione delle procedure di appalto, alla creazione di un monopolio anticoncorrenziale e al diniego di accesso alla professione, soprattutto per i più giovani".

Per garantire la qualità delle prestazioni professionali e la trasparenza nel processo di esecuzione delle opere pubbliche, aggiunge Fietta, "è indispensabile puntare ad una chiara ed evidente distinzione tra controllori e controllati, riservando ai liberi professionisti la progettazione, ed ai pubblici dipendenti il controllo del processo di esecuzione delle opere pubbliche, dalla programmazione al collaudo. È evidente, perciò, che il ministro, mal consigliato, abbia sbagliato completamente la cura, ipotizzando che la gestione della progettazione da parte della PA possa risolvere il problema delle tempistiche. La riduzione della durata della progettazione, qualora perseguibile attraverso un esercito di neoassunti - cosa di cui dubitiamo fortemente - avrebbe veramente poco senso, sia perché i relativi tempi sono già molto stretti, sia perché inciderebbe sulla qualità dell’opera".

In merito al ritorno dell’appalto integrato, rileva, "si tratta di un istituto che era stato già vietato per l’evidente conflitto di interessi tra impresa, progettisti e direttore dei lavori, in quanto sia coloro che devono garantire la qualità progettuale, sia coloro che devono controllare l’esecuzione dell’opera, sono pagati dall’impresa esecutrice. Probabilmente l’esempio del 'ponte di Genova' ha spinto verso una volontà radicale di semplificazione che travolge l’intero sistema delle gare per l’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura, sebbene quel modello sia stato adottato per un caso assolutamente straordinario e di attenzione internazionale e non esiste alcuna dimostrazione che possa essere applicato all’intera filiera degli appalti. Anzi, l’appalto integrato era stato eliminato su richiesta dell’Anac dopo una serie di esperienze negative ed ora, sotto la pressione interessata delle imprese, lo si vuole reintrodurre come la panacea di tutti i mali, a scapito della qualità progettuale ed esecutiva. In pratica, stiamo chiedendo all’oste di stabilire quanto è buono il vino".

La Fondazione, conclude Fietta, "ritiene che l’obiettivo di dimezzare i tempi degli appalti, mantenendo un’elevata qualità progettuale, sia assolutamente perseguibile senza stravolgere i principi del nostro ordinamento, ad esempio migliorando le capacità di programmazione e controllo della PA anche attraverso un potenziamento degli organici; semplificando le gare per l’affidamento dei servizi tecnici e/o garantendo autonomia economica e decisionale ai professionisti individuati nell’ambito di un appalto integrato, qualora non se ne possa fare a meno. Confidiamo che il decisore pubblico voglia valutare queste opzioni, prima di riproporre modelli che hanno già fallito in passato e che potranno solo aggravare il problema, anziché risolverlo".

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