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Regioni, Landolfi 'processa' il Titolo V ne 'La Repubblica di Arlecchino'

04 agosto 2020 | 20.43
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Nel saggio pubblicato da Rubettino la pandemia come 'stress test' della fragilità del sistema Italia

(Foto Fotogramma)
(Foto Fotogramma)

Non una celebrazione quanto una rivisitazione critica dell’istituto regionale a 50 anni dal suo varo. Una rivisitazione che si trasforma in un viaggio nella fragile identità nazionale seguendo le orme cariche di lutti e di dolore impresse dal coronavirus nella sanità pubblica regionale, ormai vero simbolo dell’Italia-spezzatino. È il filo conduttore del libro di Mario Landolfi (“La Repubblica di Arlecchino - così il regionalismo ha infettato l’Italia”, 172 pagg. ed. Rubbettino - 15 euro, prefazione di Gennaro Malgieri), già parlamentare e ministro del terzo governo Berlusconi.

I temi del contagio, tuttavia, come spiega lo stesso autore nell’introduzione, sono solo il “pretesto” per affrontare da una visuale controcorrente il tema del regionalismo, così come disegnato dalla riforma del Titolo V della Costituzione, e le insidiose dinamiche centrifughe e anti-unitarie sottese al progetto della cosiddetta autonomia rafforzata. Il libro tratta con prosa divulgativa temi solitamente confinati all’attenzione e all’interesse degli “addetti ai lavori”. Agli occhi di Landolfi l’epidemia si è rivelata uno stress-test che ha messo a nudo la fragilità del “sistema Italia” evidenziandone il caos istituzionale culminato nella sovrapposizione di ruoli, funzioni e competenze tra Stato, Regioni e persino Comuni. Appunto, la “Repubblica di Arlecchino”.

Sotto accusa finisce la pretesa regionalista, anzi nordista, di contrastare il virus attraverso i propri modelli sanitari quando, al contrario, è apparsa chiarissima sin dall’inizio l’insostituibilità dell’autorità centrale. È la ragione per cui - che si trattasse di tamponi, mascherine, obblighi, divieti, sanificazione - a prevalere è stata sempre la logica del “fai da te”. Sotto questo aspetto il libro rappresenta una documentata denuncia della debolezza istituzionale. Una fragilità che il libro, attraverso un excursus storico-politico, fa risalire alla mancanza di un mito unificante, a sua volta frutto delle troppe lacerazioni storiche subite dal nostro Paese. Nel mirino, in particolare, quella che viene considerata a convergente avversione della cultura leghista e di quella ex-comunista verso lo Stato nazionale. “La prima - sottolinea Landolfi - in omaggio al localismo, la seconda in nome del globalismo”.

Il libro consegna la fotografia di una nazione smarrita, divisa tra Nord e Sud, attraversata da pulsioni autonomiste se non proprio indipendentiste, e in cui il ruolo delle élite si esaurisce, di fatto, nella difesa dello status quo. Secondo la tesi dell'autore, il tramonto del Risorgimento come mito ufficiale e la mancata capacità di sostituirlo con la narrazione “resistenzialista” ha finito per creare una sorta di “anno zero”, l’humus più adatto per un nuovo patto tra italiani e tra Stato e territori. Un nuovo inizio in grado di riconsegnare alla storia nazionale i suoi due “pezzi mancanti”: le ragioni del Sud e le ragioni dei vinti. Per Landolfi vanno seppelliti tutti i morti, a partire da quelli ai quali la storiografia ufficiale continua a negare dignità.

Operazione indispensabile per ricucire tutte le lacerazioni, a cominciare da quella del 1860. Può farlo, secondo l’autore, solo un’assemblea costituente capace di mettere mano al restyling della nostra governance pubblica. Riecheggia in questo la storica battaglia della destra per una Nuova Repubblica. La differenza, in questo caso, è che l’autore non sembra in questo orientato solo dall’opzione presidenzialista quanto piuttosto da una nuova declinazione delle autonomie, non più in favore delle Regioni bensì delle Città Metropolitane e degli enti intermedi.

“Dante - è l’amara constatazione di Landolfi - voleva l’Italia come donna di provincia e invece ci ritroviamo il bordello delle Regioni”. Ma è proprio da queste ultime - conclude l’autore - che lo Stato deve recuperare sovranità per essere più forte nel consesso delle nazioni e nell’arena della competizione globale.

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