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Resistenza, Bertinotti: "Bella ciao? Buona intenzione ma è canto di lotta da non ritualizzare"

07 giugno 2021 | 17.53
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"Reazione delle destre conferma attualità del valore dell'antifascismo"

(Fotogramma)
(Fotogramma)

L'intenzione è "buona" ma attenti a non scivolare sul terreno insidioso della "ritualità" che indebolisce la forza del messaggio e della testimonianza storica. E' questo, secondo Fausto Bertinotti, il rischio che accompagna la proposta di legge di un gruppo di deputati Pd, Leu, Iv e M5s che chiede il riconoscimento di "Bella ciao" come brano da eseguire, subito dopo l'Inno di Mameli, nelle celebrazioni del 25 aprile.

"La prima cosa da dire - ha dichiarato l'ex presidente della Camera in un'intervista all'Adnkronos - è che la proposta è animata da buone intenzioni e che ogni iniziativa che si prefigga di rendere vivo il messaggio della Resistenza e dell'antifascismo, è benvenuto. Questo Paese è attraversato ancora da un negazionismo che va dalle punte più inaccettabili, a quelle che sostengono che 'poi il fascismo non era così male' o che 'Mussolini ha anche fatto cose buone'".

"La reazione scandalizzata di una parte rilevante delle destre italiane a questa proposta, che non ha una finalità provocatoria ma 'innocente', dà l'esatta misura dell'attualità di una battaglia per salvaguardare il valore dell'antifascismo. Ma attenzione: l'antifascismo richiede ancora una battaglia politico-culturale, non è ancora il tempo della ritualità".

"C'è quindi una battaglia politico-culturale aperta. Quella che Piero Calamandrei - ha aggiunto Bertinotti - descrisse in modo mirabile nel suo discorso ai giovani, quando li esortava a far vivere la Costituzione, invitandoli a andare in pellegrinaggio dove è stato incarcerato un antifascista o dove è morto un partigiano. Questo rimane un compito vitale. Quindi, di fronte a questa iniziativa, non c'è alcun sopracciglio da alzare".

"Solo che, nel caso specifico, la proposta non mi convince: se c'è una cosa da salvare - ha detto ancora l'ex presidente della Camera - è proprio 'Bella ciao', ossia il modo con il quale questa canzone popolare è nata ed è stata tramandata come una bandiera da issare. Veniva cantata proprio come una riaffermazione di fedeltà alla Resistenza o come una speranza nel futuro di libertà. Spontaneamente. Non c'è bisogno di ripercorrere la genesi di 'Bella ciao', che fu una ballata cantata poco nel corso della Resistenza. Erano altre le canzoni che si cantavano, basti pensare a 'Fischia il vento'... Però, proprio perché è stata assorbita così profondamente nel corso del tempo dalla cultura popolare, ha guadagnato la sua forza".

"Io penso che questa dote di canto popolare, di inno di lotta e di impegno civile, debba essere difeso. Credo che, se venisse ufficializzata, perderebbe la motivazione forte per cui è stata cantata nel corso di questi 70 anni da tante persone e continuerà a essere cantata, in Italia e nel mondo. I proponenti della legge, penso farebbero bene a consultare chi ha studiato a lungo le origini e le radici della Resistenza e di questa ballata, come ad esempio a Cesare Bermani o Alessandro Portelli. Io sentirei il loro parere".

"Se il problema è di affiancare l'Inno di Mameli, un'altra 'colonna sonora', proporrei allora di far leggere sistematicamente, a ogni appuntamento di rilievo che lo richieda, una lettera di un condannato a morte della Resistenza. 'Bella ciao' non è un canto innocente ma è un canto di liberazione che ha un protagonista, il partigiano, ma anche un avversario, il fascista".

Eseguita da decine di gruppi (si pensi a Goran Bregovic o ai Modena City Ramblers), cantata dalle famiglie sui balconi nei giorni del lockdown o diventata colonna sonora nella fortunata serie tv 'La casa di carta', ne esistono anche versioni remixate che fanno ballare i ragazzi in discoteca. "Questo - ha avvertito Bertinotti - non toglie nulla anzi rafforza il contenuto di 'Bella ciao'. Non è la prima volta che accade che un messaggio rivoluzionario venga catturato e trasformato in un'altra dimensione, anzi depone a favore della sua forza di penetrazione".

"Basti pensare alle magliette con la faccia del Che. E' evidente che il Che non avrebbe mai voluto che la sua immagine fosse stampata sulle t-shirt, ma la dice lunga sull'energia del messaggio. Va benissimo se c'è qualcuno che ci guadagna sopra, l'essenziale - ha concluso - è che ci sia qualcuno, spero tanti, che ne salvaguardino il contenuto rivoluzionario e di lotta". (di Luca Rufino)

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