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Ricerca, Fondazione Veronesi investe sul futuro

21 marzo 2018 | 20.07
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Immagine di repertorio (Fotogramma) - FOTOGRAMMA
Immagine di repertorio (Fotogramma) - FOTOGRAMMA

Per Laura Boldrini, che ha scelto come ultima uscita pubblica da presidente della Camera la cerimonia milanese di consegna dei Grant 2018 della Fondazione Umberto Veronesi, "investire in ricerca è il modo di uscire dalla crisi". E "la competizione internazionale non è su chi tiene più basso il costo del lavoro ma su chi investe di più e meglio nella ricerca scientifica e nell'innovazione". Per il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, "i complimenti" e le esortazioni agli scienziati "ad andare avanti" non bastano, "servono fondi veri e impegno concreto". Per il vice sindaco di Milano, Anna Scavuzzo, "i giovani sono il futuro" e su di loro bisogna accendere i riflettori.

Più voci, un solo messaggio: non c'è progresso senza ricerca, è questo "l'investimento per il futuro". La Fondazione Veronesi per il 2018 ha deciso di scommettere sui sogni scientifici di 188 giovani medici e ricercatori che lavorano in 33 diverse città d'Italia, da Nord a Sud, oltre a sostenere la Scuola europea di medicina molecolare (Semm) e finanziare 7 progetti di ricerca e 4 protocolli di cura in oncologia pediatrica. Sono 140 i post-doc e gli specializzandi impegnati in oncologia (di cui 20 in oncologia pediatrica, 11 sui tumori maschili e 51 sul tumore al seno e su altri tumori femminili); 14 quelli che lavorano sulle malattie cardiovascolari e croniche, 32 nell'ambito delle neuroscienze. Fra le borse di ricerca c'è anche quella sostenuta dall'Associazione 'Un Angelo alla Ricerca', in memoria di Angelo Cicalese, biologo per 3 anni vincitore di un grant della Fondazione, morto all'età di 39 anni. E' stata assegnata ad Andrea Cardona, che svilupperà il suo progetto (area cardiologia e malattie croniche) negli Usa, all'Ohio State University.

La domanda, per Pier Giuseppe Pelicci, membro del Comitato scientifico di Fondazione Veronesi, chairman Dipartimento di oncologia sperimentale e direttore Area ricerca dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, "non è solo se abbiamo le risorse per la ricerca, ma anche se la società ha tutti gli strumenti per apprezzarne l'importanza". E' "miope" un Paese che "investe troppo poco in questo campo", aggiunge. E la Fondazione Veronesi ha voluto portare dati che dimostrassero che la ricerca scientifica non è un costo ma crea valore. Per questo ha intrapreso un percorso di analisi: il risultato ottenuto applicando la metodologia Sroi (Social Return on Investment) è che, per ogni euro investito, nel 2017 la Fondazione ha generato un ritorno sociale di 1,20 euro.

All'orizzonte ci sono sfide "estremamente complesse - osserva Chiara Tonelli, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Veronesi - come ricercatori dovremo imparare a utilizzare un po' tutti i saperi", fare squadra rompendo i confini fra discipline. "I Big data sono cruciali, ma bisogna tener presente che, se sono più facili da produrre, la difficoltà viene poi nell'interpretarli. Si tratta di mettere insieme le competenze anche fra settori che non sono abituati a dialogare fra loro. Si tratterà per esempio, utilizzando la matematica e l'informatica, di capire come le cellule agiscono contemporaneamente, come i geni che noi abbiamo vengono modificati dall'ambiente, come un farmaco è in grado di modificare il microbiota, che assume un ruolo sempre più importante, e in funzione di questo l'espressione dei nostri geni.

Il tutto, prosegue, "va legato anche ai nostri stili di vita, alle abitudini alimentari (quando e cosa mangiamo) e all'attività fisica. E' impegnativo tener presente tutti questi fattori, e in futuro dobbiamo guardare sempre di più alla complessità, alla biologia dei sistemi". Con un occhio di riguardo alla prevenzione: "Vuol dire non solo far vivere più a lungo le persone ma nelle migliori condizioni - precisa Tonelli - e questa è una conquista che si ottiene giorno per giorno fin da piccoli, mattone per mattone. A uno stile di vita più corretto ci si abitua. E ci ripaga perché diminuisce il rischio di sviluppare malattie croniche, che oggi sappiamo essere 'compagne' costanti negli ultimi 10-20 anni di vita di tantissime persone. Se ci riusciamo, è un bene per noi e per la società".

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