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Ricerca, il cervello non sceglie la via più breve in città

19 ottobre 2021 | 17.02
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Analizzato un data set di oltre 550mila spostamenti a piedi di oltre 14mila persone di Boston e San Francisco. Con questi dati potremo progettare meglio i centri urbani del futuro

(Foto ©Sergio Agazzi/Fotogramma, Bergamo - 2020-05-09) Foto FOTOGRAMMA
(Foto ©Sergio Agazzi/Fotogramma, Bergamo - 2020-05-09) Foto FOTOGRAMMA

Il cervello non sceglie la via più breve quando dobbiamo scegliere un percorso. A fare luce su questo comportamento é uno studio dell’Istituto di informatica e telematica del Cnr di Pisa, realizzato in collaborazione con il Mit di Boston e il Politecnico di Torino, che dimostra come i pedoni scelgano i percorsi senza calcolare quello più corto per raggiungere la destinazione. Per realizzare la ricerca, lo studio ha utilizzato i dati della mobilità a piedi di 14mila persone. Il lavoro - pubblicato su Nature Computational Science - potrebbe essere strategico per progettare meglio le città del futuro grazie a spostamenti dei cittadini più efficaci e sicuri e anche più piacevoli.

Nello studio i ricercatori spiegano che la distanza più breve fra due punti è una linea retta, quando però camminiamo in una città, il percorso diretto verso la destinazione potrebbe non essere possibile. E allora, come decidiamo la strada da prendere? Il nuovo studio - realizzato da un team dell’Istituto di informatica e telematica del Consiglio nazionale delle ricerche (CnrIit) di Pisa in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology (Mit) e con il Politecnico di Torino - dimostra che il nostro cervello non è ottimizzato per calcolare il cosiddetto 'cammino minimo' quando lo spostamento è pedonale. Il team di ricerca ha analizzato un data set di oltre 550mila spostamenti a piedi di oltre 14mila persone di Boston e San Francisco e ha scoperto che i pedoni tendono a scegliere percorsi, detti 'cammini direzionali', che sembrano puntare direttamente verso la destinazione anche se potrebbero alla fine risultare più lunghi del 'cammino minimo'.

Paolo Santi, dirigente di ricerca del Cnr-Iit, sottolinea che "questa strategia, nota come navigazione vettoriale, è stata osservata in studi precedenti effettuati su animali, dagli insetti ai primati. La navigazione vettoriale viene usata perché richiede meno risorse cerebrali rispetto al dover calcolare il cosiddetto cammino minimo. Questo risparmio energetico cerebrale potrebbe essere il risultato dell’evoluzione, in modo da lasciare al cervello più risorse per compiere altre attività per la sopravvivenza". Insomma, la mente distribuisce le energie tra le diverse attività di calcolo. "Sembra esistere un meccanismo che alloca le risorse computazionali del cervello per altri utilizzi: trentamila anni fa, ad esempio, per fuggire da un predatore e oggi per evitare una zona pericolosa per l’eccessivo traffico" afferma Carlo Ratti, professore di tecnologie urbane presso il dipartimento di urban studies and planning del Mit e direttore del Senseable City Lab.

Alessandro Rizzo, professore di automatica e robotica presso il dipartimento di elettronica e telecomunicazioni del Politecnico di Torino, spiega che "la navigazione vettoriale non produce il cammino minimo, ma un tragitto sufficientemente vicino a quello minimo, più semplice da calcolare e quindi con un dispendio di energie cerebrali inferiore". I risultati dello studio potrebbero quindi essere utilizzati per la progettazione urbana.

"Le potenzialità contenute nei dati di spostamento degli individui sono enormi. L’avere individuato caratteristiche comportamentali uniformi in città dalle caratteristiche così diverse - evidenzia ancora Rizzo- ci fa ben sperare nella possibilità di usare questi dati per progettare meglio le città del futuro, rendendo gli spostamenti dei cittadini più efficaci, sicuri e, perché no, piacevoli".

Allo studio, hanno contribuito Christian Bongiorno (primo firmatario), professore associato presso l’Université Paris-Saclay, Alessandro Rizzo, professore di automatica e robotica presso il Dipartimento di elettronica e telecomunicazioni del Politecnico di Torino, e Joshua Tenenbaum, professore di scienze computazionali e cognitive presso il Centro per lo studio del cervello, mente, e macchine del dipartimento di Brain and Cognitive Science del Mit.

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