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Ricorso Capitano Ultimo: "Sospensione tutela? Eccesso di potere"

26 ottobre 2019 | 15.13
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"I provvedimenti sono illegittimi per illogicità, irragionevolezza, irrazionalità, errore sui presupposti di fatto, ed ingiustizia manifesta"

Ricorso Capitano Ultimo:

"Non risultano essere state operate adeguate ed approfondite valutazioni, ad opera delle competenti autorità, in relazione alla situazione di potenziale pericolo perdurante ed attuale alla quale potrebbe essere ancora esposto l’interessato, donde i provvedimenti gravati sono illegittimi per eccesso di potere, illogicità, irragionevolezza, irrazionalità, errore sui presupposti di fatto, ed ingiustizia manifesta". E' quanto si legge, apprende l'Adnkronos, nel ricorso al Tar presentato dal colonnello Sergio De Caprio, il 'Capitano Ultimo', contro il provvedimento di revoca della scorta in suo favore. Nel ricorso, accolto dai giudici amministrativi del Lazio, De Caprio era difeso dall'avvocato Antonino Galletti.

"Un’attenta istruttoria avrebbe condotto a ravvisare numerosi indicatori di rischio per l’incolumità del De Caprio e della sua famiglia, nonché un grave ed attuale pericolo di ritorsioni, laddove era onere dell’Amministrazione fornire prove oggettive sull’assenza dei pericoli per il ricorrente, tali da legittimare l’adottato provvedimento". L'Amministrazione, si legge nel testo dell'istanza promossa da Di Caprio, "avrebbe dovuto motivare in maniera più esaustiva e approfondita sulle presunte circostanze anche fattuali che renderebbero non più concreto l’obiettivo di assicurare, in favore del De Caprio, la misura di protezione, atteso che il perdurante ed attuale rischio per l’incolumità e sicurezza, connesso alla sua pregressa attività investigativa nella quale ha ottenuto brillanti successi contro le organizzazioni criminali, si deve presumere sussistente per definizione nei confronti di chi è stato a lungo impegnato nella lotta contro la mafia e la criminalità organizzata".

"Le risultanze della Commissione Centrale Consultiva per l’adozione delle misure di sicurezza personale del febbraio 2019, sia il verbale della riunione del 23.7.2019" hanno "incredibilmente ignorato (infatti, non v’è traccia nell’istruttoria procedimentale e nella motivazione del provvedimento finale) le relazioni ultime dell’attività investigativa svolta dalla DIA circa l'attuale livello di pericolosità dell'associazione mafiosa denominata 'Cosa Nostra' anche in relazione alla possibilità concreta che alcuni esponenti dell’organizzazione criminale operanti nel territorio capitolino possano colpire uomini dello Stato (come il De Caprio) che si sono contraddistinti nella lotta alla mafia", viene rilevato nel ricorso.

"Con i provvedimenti impugnati, infatti, l’Amministrazione omette colpevolmente di considerare il valore e l'importanza nella cultura criminale di Cosa Nostra di perseguire e annientare i simboli dello Stato che hanno cercato di affermare giustizia e legalità in Sicilia". La decisione di revocare il dispositivo di protezione finora goduto da De Caprio "non tiene conto delle minacce pubbliche che alcuni boss di Cosa Nostra del calibro di Leoluca Bagarella, Salvatore Biondino e altri esponenti, tutti sottoposti a regime di detenzione particolarmente restrittivo, hanno proferito nei confronti dell’ufficiale e che potrebbe essere il segnale per i sodali dell’organizzazione di colpire il ricorrente, come si suol dire in gergo mafioso, per finalità di vendetta".

Nel ricorso si ricorda poi che, "come più volte pubblicamente dichiarato dalle Autorità pubbliche palermitane, alcuni dei boss di Cosa Nostra potrebbero lasciare a breve le strutture penitenziarie a seguito dello sconto integrale della pena e ciò aumenta l’allarme per l’incolumità e la sicurezza personale del De Caprio".

In relazione poi "all’evento incendiario verificatosi nel marzo 2019 in una zona frequentata quotidianamente dal De Caprio, ricondotto sbrigativamente e senza approfondimenti ad un attentato contro la società pubblica Eni spa", è "doveroso rappresentare" che nel settembre 2018 'l'Espresso' "ha rilevato come il colonnello De Caprio, durante la sua permanenza all'Aise, ha svolto un ruolo di primo piano nelle vicende che hanno riguardato l’approvvigionamento delle risorse energetiche in Libia da parte dell'Eni, oggetto della campagna di attentati incendiari rivendicati dagli anarchici".

La "frettolosa riconduzione degli atti incendiari di autovetture del marzo 2019 nelle vicinanze della abitazione del ricorrente, alla sola matrice anarco-insurrezionalista ed in particolare ad una campagna anarchica contro la politica governativa italiana a tutela degli interessi dell'Eni in Libia", rappresenta quindi "un pericolo concreto ed attuale alla incolumità dell’Ufficiale".

Nel ricorso si ricorda che "l’art. 8 del D.M. del 28 maggio 2003, impone l’opportunità di un immediato e più attento riesame della situazione, se è vero che, ai sensi dello stesso art. 8, il livello 4 di protezione, afferente al rischio meno elevato, ricorre in tutte le situazioni in cui elementi informativi attendibili abbiano consentito di acclarare un pericolo non ancora determinato ed attuale e non possa escludersi il compimento di azioni criminose nei confronti della persona da tutelare; compimento che, per quanto sopra sommariamente esposto e per quanto già acclarato in sede processuale nel precedente giudizio, non può logicamente escludersi per definizione nel caso di specie".

Sull'incendio di diverse autovetture di fronte al condominio in cui vive De Caprio e nei pressi della casa famiglia promossa da 'Ultimo' a Roma con finalità assistenziali, "non risulta essere stata operata una nuova approfondita valutazione, ad opera delle competenti autorità, rispetto alla situazione di potenziale pericolo alla quale potrebbe essere ancora esposto l’interessato".

"E’ stato già dedotto - prosegue il ricorso - come, anche l’interpretazione fornita dall’Amministrazione all’evento incendiario del 29.3.2019, ricondotto ad atto di matrice anarco-insurrezionalista posto in essere contro la società Eni spa, espone il ricorrente ad un pericolo attuale e concreto, stante il ruolo svolto dal De Caprio nell’operazione di acquisizione di risorse energetiche in Libia da parte della società pubblica. Esattamente, dunque, il contrario di quanto sostenuto dall’Amministrazione secondo la quale sarebbe venuto meno il profilo di rischio per avere l’Amministrazione addirittura ignorato l’attività svolta dall’ufficiale all’epoca in servizio all’Aise".

L'istruttoria "è stata compiuta in maniera approssimativa e superficiale, né è convincente e credibile" la tesi secondo la quale "'si tratterebbe di 'azioni criminose chiaramente poste in essere contro l’Eni', posto che se davvero il movimento anarco-insurrezionalista avesse voluto portare avanti azioni dimostrative contro la società pubblica non si sarebbe limitata ad azioni criminose contro una autovettura a noleggio parcheggiata nella lontana periferia romana". De Caprio "ha documentato due episodi che ben lungi dall’essere risalenti, giova ribadire, si sono peraltro verificati addirittura in prossimità delle udienze di discussione della tutela cautelare e del c.d. merito della controversia".

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