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Riforme: EY, così rendono Italia più attraente per investimenti

09 giugno 2016 | 16.13
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(foto Adnkronos/Cristiano Camera)
(foto Adnkronos/Cristiano Camera)

L’attuale processo di riforma in corso si è dimostrato essere un fattore in grado di aumentare l’attrattività del nostro Paese per gli investitori esteri. A questo vanno ad associarsi alcune condizioni 'tradizionali' di localizzazione, certamente importanti ma forse non più sufficienti.

E' quanto sostiene un documento sviluppato dall'American Chamber of Commerce in Italy in collaborazione con Ey e Legance Avvocati Associati, presentato nel corso del convegno 'Italy is Back: Investment Climate 2016' e nel quale vengono esaminati gli impatti delle principali riforme promosse dall’esecutivo.

In primis, si legge, c'è il posizionamento nello scenario geopolitico: l’Italia infatti, grazie alla sua posizione geografica, può diventare un vero e proprio 'hub' per i mercati Emea, valorizzando il patrimonio di porti e reti infrastrutturali. Inoltre, la qualità del made in Italy rappresenta un sistema di valori difficilmente riscontrabile altrove per il quale gli investitori possono valutare di dedicare risorse e progetti. Grazie ad un aumento della classe media di oltre 3 miliardi a livello mondiale, la domanda globale per i beni 'made in Italy' dovrebbe aumentare notevolmente nei prossimi anni.

Un altro elemento in grado di incidere sull’attrattività italiana è la capacità di comunicare all’estero attraverso un ruolo di maggiore forza e autorevolezza dei nostri media uscendo dal pregiudizio e dallo stereotipo nonché dal clima ipercritico che talvolta i nostri stessi media tendono ad alimentare. Occorre pensare anche a nuove forme di attrazione, sostiene Ey, come ad esempio evidenziare la qualità della forza lavoro italiana, in particolare delle eccellenze che possediamo anche nei corsi di laurea 'Stem' (Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) e in alcuni poli come ad esempio il Politecnico di Milano e di Torino, o la Normale e la S. Anna di Pisa.

E’ necessario inoltre investire sulla formazione per aumentare il numero complessivo di laureati (solo il 24% degli italiani tra i 25 e i 34 anni) ma la loro qualità è difficilmente discutibile: ad esempio, al 51% degli studenti italiani che partecipa al programma Erasmus+ e svolge un tirocinio all’estero viene poi proposto di restare a lavorare, a fronte di una media europea del 30%. Inoltre, i nostri laureati 'costano' meno che in Germania o nelle altre grandi economie europee.

Più in generale, il costo del lavoro - si legge nel documento - nell’area Euro nel 2015 è salito in media dell’1,5% (raggiungendo 29,5 euro l’ora). Lo stesso trend interessa l’Unione europea: in questo caso l’incremento è stato del 2% (attestandosi a 25 euro).

L’Italia, nella classifica dell’Unione europea, si colloca in undicesima posizione per costo medio orario del lavoro, sotto la media dell’area euro e sopra la media Ue. Il costo del lavoro di 28,1 euro per ora dell’Italia è superiore a quello del Regno Unito (25,7 euro), ma resta al di sotto di quello della Germania (32,2 euro), dell’Austria (32,4 euro) e della Francia (35,1 euro). Le sole voci non salariali, invece, pesano nel nostro Paese per il 27,9% sul costo complessivo del lavoro per ora, contro il 24% medio dell’Unione europea e il 26% dell’area euro.

È necessario quindi ridimensionare i costi del lavoro e di produzione anche attraverso un uso innovativo del digitale. L’attrattività dell’Italia infatti passa anche dallo sviluppo di un ecosistema innovativo, basato sui concetti di open e distruptive innovation, legati all’impatto del digitale su tutti i settori.La open innovation guarda all’esterno e alla collaborazione con altri soggetti, come le stesse università, gli incubatori e acceleratori, start up innovative, addirittura altre aziende non competitor.

"Le eccellenze e le qualità del made in Italy sono ampiamente riconosciute a livello internazionale – spiega Donato Iacovone, amministratore delegato di EY in Italia e Managing Partner dell’Area Mediterranea – e si stima che la domanda di beni prodotti nel nostro Paese aumenterà globalmente nei prossimi anni. L’Italia - aggiunge l'ad - rappresenta un punto di accesso al mercato per 500 milioni di consumatori in tutta l’Ue e per 270 milioni tra Nord Africa e Medio Oriente".

"La facilità del commercio con l’estero del nostro Paese, sopra la media Ue del 32,7% per le negoziazioni con i mercati fuori dall’Unione, è un punto di forza - sostiene ancora Iacovone - su cui puntare per attirare ulteriormente gli investimenti esteri, insieme alla valorizzazione dei distretti, delle filiere e dell’artigianalità, vero fiore all’occhiello delle nostre produzioni. L’apertura verso i mercati globali, supportata anche da processi di digitalizzazione, rappresenta uno dei principali driver di crescita per le realtà imprenditoriali e l’innovazione è la chiave di volta per accompagnare il percorso di sviluppo delle nostre pmi".

"La creazione di un Osservatorio dedicato – conclude Iacovone –, che American Chamber of Commerce in Italy ed EY svilupperanno nei prossimi mesi, intende proprio analizzare le nuove modalità di accesso al mercato globale per affiancare le aziende italiane nel loro percorso di internazionalizzazione e crescita, con una particolare attenzione alla sharing economy e alla sempre maggiore adozione di logiche di open innovation".

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