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"Rischiate esercito di kamikaze in Italia", scatta il blitz

09 gennaio 2019 | 17.31
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"Ho deciso di parlare per evitare che arrivasse in Italia un esercito di kamikaze. Vi racconto come funzionano gli 'sbarchi fantasma' dalla Tunisia alla Sicilia". E' l'agosto del 2016 e il primo pentito della Jihad decide di saltare il fosso e raccontare agli investigatori come funzionano queste 'agenzie di viaggio' all inclusive che, in cambio di circa 2.500 euro, prevedono un viaggio a bordo di gommoni superveloci, ultimo modello. Tunisia-Sicilia in poche ore. E tutto senza rischio, come invece accade a chi fa la traversata dalla Libia a bordo di barconi malandati o di gommoni bucati. All'alba di oggi, grazie al racconto del collaboratore di giustizia tunisino, è scattato il blitz antiterrorismo, coordinato dalla Dda di Palermo, e condotto dal Ros dei Carabinieri e dell'Arma territoriale di Palermo e Trapani, che ha portato al fermo di quindici persone. I magistrati della Procura antimafia di Palermo sono convinti che ci sia una "attuale e concreta minaccia alla sicurezza nazionale". Da qui la decisione del provvedimento di fermo, senza aspettare l'ordinanza cautelare (VIDEO).

Non soltanto traffico di uomini e sigarette, ma anche il "rischio terrorismo di matrice jihadista", come emerge dalle carte della Procura. "Sussistono significativi ed univoci elementi per ritenere che l'organizzazione costituisca un'attuale e concreta minaccia alla sicurezza nazionale poiché in grado di fornire a diversi clandestini un passaggio marittimo occulto, sicuro e celere che, proprio per queste caratteristiche, risulta particolarmente appetibile anche per quei soggetti ricercati dalle forze di sicurezza tunisine, in quanto gravati da precedenti penali o di polizia ovvero sospettati di connessioni con formazioni terroristiche di matrice confessionale", scrivono nel provvedimento di fermo il procuratore aggiunto Marzia Sabella e i pm Calogero Ferrara e Claudia Ferrari, che hanno coordinato l'indagine.

Uno degli indagati, in particolare, risulta essere contiguo "ad ambienti terroristici a sfondo jihadista pro Isis in favore di cui, attraverso la sua pagina Facebook", ha "posto in essere una significativa azione di propaganda jihadista con incitamento alla violenza ed all'odio razziale". "Ulteriore segno di radicalizzazione a sfondo religioso è l'iscrizione dell'indagato al gruppo Facebook 'Quelli al quale manca il paradiso'".

Ecco uno dei messaggi di cui si faceva latore uno degli indagati: "Dice il Profeta di Allah (che Dio lo benedica): ogni Stato ha il suo turismo ed il mio turismo è la jihad in nome di Dio… Sappiate che il paradiso è sotto le ombre delle spade", oltre alla condivisione di filmati realizzati dall’Isis. C'è di tutto nelle immagini trovate dagli inquirenti sui social e sui cellulari di alcuni indagati. Immagini di guerra, immagini di guerriglieri, discorsi propagandistici, immagini di kamikaze e persino uccisioni di ostaggi.

"Attraverso strumenti informatici o telematici e segnatamente attraverso il social network Facebook", uno degli indagati ha condiviso "sul suo profilo Facebook e sulle pagine Facebook relative ad altri gruppi, sia aperti che chiusi, materiale propagandistico delle attività svolte da gruppi islamici di natura terroristica, sia di tipo documentale (preghiere, scritti, ordini, istruzioni ed altro) che video-fotografico (scene di guerra, immagini di guerriglieri, discorsi propagandistici, kamikaze, uccisioni di ostaggi ed altro), di cui preliminarmente si riforniva in rete, nonché attraverso altri strumenti di comunicazione e, in particolare, mantenendo contatti e condivisioni con pagine Facebook e profili Facebook tutti inerenti attività di tipo terroristico in Tunisia, in Iraq, in Siria, in Medioriente, in Europa e negli Stati Uniti", come si legge nel provvedimento di fermo della Dda.

Per i pm un ruolo importante lo svolgono i 'mujaheddin virtuali', ritenuti "un formidabile strumento di radicalizzazione delle masse e propaganda dei dettami del terrore di matrice islamica". Uno degli indagati "operando in perfetta coerenza con le attuali caratteristiche della cosiddetta 'Jihad 2.0' - dicono gli inquirenti - si adoperava per la diffusione e condivisione tramite social network di documenti e di materiale video-fotografico volti al proselitismo e alla promozione dello Stato Islamico Daesh". "L'uomo, risultato in grado di sollecitare i fruitori dei messaggi alla condivisione dei macabri ideali promossi dalla rete globale del terrorismo, ha perpetrato la condotta apologetica ed istigatrice tramite una pluralità di fittizie identità virtuali, al fine di tentare di sfuggire ai consueti strumenti di controllo", dicono ancora gli investigatori.

L'inchiesta che all'alba di oggi ha portato al fermo di 15 persone ha "consentito di acquisire diretto riscontro delle attività delittuose perpetrate, in particolare permettendo di rintracciare, fermare e identificare alcuni gruppi di clandestini trasportati via mare in territorio trapanese". "La gestione degli illeciti servizi di trasporto da parte dell'organizzazione indagata (connotati da innovative e peculiari modalità di realizzazione, quali rapidità di trasferimento, selezione ed esiguità dei gruppi trasportati), oltre ad alimentare i gruppi di clandestini presenti sul territorio nazionale - dicono i pm - ha rappresentato una più grave minaccia alla sicurezza dello Stato in ragione delle posizioni radicali pro Daesh rilevate in capo a un esponente di vertice del sodalizio".

Le attività d'indagine, effettuate anche attraverso un mirato monitoraggio di alcuni profili social, hanno permesso di verificare che uno degli indagati, oltre a svolgere mansioni direttive del sodalizio e a custodirne la ''cassa comune'', gestiva, mediante lo strumento informatico, una "intensa attività d'istigazione e di apologia del terrorismo di matrice islamista, inserendosi nel network globale della propaganda e promuovendo gli efferati messaggi dell'organizzazione terroristica Daesh", dicono ancora gli inquirenti.

"L'associazione, stabilmente operante in territorio italiano e tunisino attraverso una rete logistica alimentata con gli ingenti proventi delle attività delittuose perpetrate, curava anche l'espatrio dalla Tunisia di soggetti ricercati dalle locali Autorità e Forze di Polizia e incrementava i propri illeciti guadagni implementando la descritta condotta delittuosa con costanti attività di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, distribuiti nel territorio palermitano attraverso la preziosa mediazione esperita dagli associati italiani", spiegano gli inquirenti. Le indagini della Dda di Palermo hanno anche consentito, grazie alle intercettazioni, di seguire in diretta alcuni sbarchi. Proprio per evitare ulteriori arrivi di 'sbarchi fantasma' a bordo di gommoni superveloci, la Procura antimafia di Palermo ha deciso di accelerare i tempi con l'emissione del provvedimento di fermo. Sarà adesso il gip a decidere sulla convalida del fermo.

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