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Russiagate, de Sousa (ex Cia): "Stessi attori italiani di vicenda Abu Omar"

11 gennaio 2020 | 14.25
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Parla l'ex 007 Cia fuggita dall'Italia lo scorso ottobre mentre scontava una condanna per il rapimento dell'imam milanese: "Pollari e Mancini innocenti su sequestro"

(Fotogramma)
(Fotogramma)

di Marco Liconti

Un “accordo” tra Washington e Roma, un “quid pro quo”, uno scambio dal quale ha voluto sottrarsi, dopo essere stata "sacrificata" per proteggere chi sapeva la verità. Un filo sottile che dal 2003, dai giorni della ‘rendition’ di Abu Omar, si dipana fino all’odierno Russiagate-Spygate. E ancora, l'innocenza di Niccolò Pollari e Marco Mancini, gli ex vertici Sismi condannati per quel rapimento. Le "verità nascoste" al presidente Donald Trump, il ruolo di Mifsud e tanto altro. Sabrina de Sousa, l’ex agente della Cia coinvolta nel rapimento, 17 anni fa, dell’imam milanese, ed unica tra i 25 funzionari dell’intelligence Usa implicati nel caso ad essere condannata (sette anni di carcere), ha deciso di raccontare all’Adnkronos la sua verità sulle ragioni della sua fuga lo scorso ottobre negli Stati Uniti. Una fuga che appare inspiegabile, visto che le mancavano pochi mesi da scontare in affidamento ai servizi sociali ma che, dice, è stata innescata dalle improvvise visite a Roma, nei giorni precedenti, del segretario di Stato Mike Pompeo e, soprattutto, del nuovo direttore della Cia, Gina Haspel: "Ho avuto paura di una nuova rappresaglia contro di me".

“La rendition di Abu Omar è stata coperta da un uso esagerato del segreto di stato, questo è anche è il parere della Corte europea dei diritti umani, in primo luogo per mascherare l’identità di coloro, negli Stati Uniti e in Italia, che autorizzarono il rapimento - dice la de Sousa - quelle identità coperte, secondo me, hanno ancora maggiore importanza in questo momento in cui il ruolo centrale dell’Italia nello Spygate, il tentativo di spodestare un presidente degli Stati Uniti eletto, sembra prendere sempre più consistenza”.

Il riferimento della de Sousa è alla complicata vicenda del presunto complotto organizzato a partire dal 2016 dall’Fbi e dalla Cia, allora emanazione dell’Amministrazione Obama, col concorso di governi occidentali alleati, per impedire a Donald Trump di accedere alla Presidenza, o di tenerlo sotto minaccia di impeachment nel caso, improbabile si pensava allora, di elezione. E' il cosiddetto Russiagate - o Spygate nella sua accezione italiana, ancora tutta da dimostrare- l'indagine sui presunti rapporti tra Trump e Mosca (mai provati), nel quale un ruolo chiave sembra averlo avuto il professore maltese della romana Link Campus University, Joseph Mifsud, scomparso nel nulla da almeno due anni.

"IO VITTIMA DI UNO SCAMBIO TRA WASHINGTON E ROMA" - La contro-indagine voluta dall'Amministrazione Trump e condotta dal procuratore John Durham, per capire se durante la campagna presidenziale del 2016 vi fu un complotto ai danni dell'allora candidato repubblicano, ha portato il ministro della Giustizia William Barr e lo stesso Durham per ben due volte a Roma, ad agosto e settembre dello scorso anno, per incontrare i vertici dell'intelligence italiana.

Quella della de Sousa è una ricostruzione suggestiva, degna di una spystory in piena regola, che rischia però di sconfinare nel campo del complottismo. L’ex agente della Cia, che come copertura in Italia usava quella di segretaria del consolato Usa a Milano, insiste sul suo ruolo di ‘vittima sacrificale’ di una vicenda che ha finito per travolgerla.

“I tentativi dell’Amministrazione Trump di risolvere il mio caso sono stati bloccati quando Gina Haspel è stata nominata vice direttore della Cia sotto Pompeo (febbraio 2017, ndr). Haspel ha convinto l’Amministrazione e il presidente Trump a non inserirmi nella sua politica di 'riportare a casa tutti gli americani detenuti ingiustamente all’estero'. Questa situazione è durata due anni”. E la de Sousa, al riguardo, ricorda il ruolo chiave che fu all’epoca della Haspel nel programma di ‘extraordinary renditions’ della Cia e che “Abu Omar “non aveva i requisiti per una rendition”.

"SACRIFICATA PER PROTEGGERE CHI SAPEVA TUTTO SU RAPIMENTO IMAM" - Alla base della sua ‘persecuzione’, dice la de Sousa, che si è sempre proclamata estranea al rapimento dell'imam milanese, c’è quello che a Washington viene definito l’”accordo”, così come le è stato spiegato da un “importante membro del Congresso” Usa, membro della Commissione Intelligence. In sostanza, sostiene l’ex agente Cia, “io avrei scontato pienamente la mia pena, così che l’Italia potesse mostrare alla Corte europea dei Diritti umani che almeno uno degli agenti coinvolti nella vicenda Abu Omar era stato punito”. E’ per questo, prosegue, che “per due anni i magistrati non mi hanno mai concesso i 45 giorni di ‘licenza’ previsti ogni sei mesi”.

Va ricordato che, dopo l’estradizione dal Portogallo all'inizio del 2017 (la de Sousa, condannata in Italia nel 2009 in contumacia, venne arrestata a Lisbona nel 2015), al suo arrivo in Italia arrivò subito per l'ex agente Cia la grazia parziale firmata dal presidente Sergio Mattarella che, aggiunta all’indulto, portò la sua pena a tre anni di affidamento ai servizi sociali. “Sono stata assegnata a una struttura fuori Roma, gestita dalla polizia, 5 ore di viaggio fra andata e ritorno, per evitare che entrassi in contatto con la stampa. Non vedo altra ragione”, sostiene.

L’”accordo” di cui si parla a Washington, continua la de Sousa, prevedeva appunto un “quid pro quo”. Vale a dire uno scambio: “L’Italia non avrebbe rinnovato il mandato di arresto per Jeffery Castelli (ex capo stazione della Cia a Roma ai tempi della vicenda Abu Omar, ndr) che aveva minacciato di rivelare i nomi di coloro, ai più alti livelli del governo italiano, che avevano autorizzato la rendition di Abu Omar”.

"A TRUMP NON È STATA DETTA TUTTA LA VERITÀ" - E qui la de Sousa cita uno degli aspetti più controversi dell’inchiesta sul rapimento dell’ex imam di Milano. “Almeno un attuale alto funzionario italiano, all’epoca facilitò la rendition, bloccando nel gennaio del 2003 la sorveglianza costante, 24 ore su 24, da parte della Digos nei confronti dell’imam”. Abu Omar, al secolo Hassan Mustafa Osama Nasr, all’epoca era infatti oggetto di un’indagine della Procura milanese sulla sua presunta partecipazione ad organizzazioni fondamentaliste islamiche.

La de Sousa prosegue nel suo ‘atto d’accusa’: “Quello che al presidente Trump non è stato detto è che alcuni degli stessi funzionari italiani dell’epoca sono coinvolti nell'attuale Spygate”. L’ex agente Cia spiega, rievocando non solo il rapimento dell’imam milanese, ma anche una delle operazioni di intelligence più controverse degli ultimi anni, che vide coinvolta anche l’Italia: la fabbricazione di false prove di un tentativo di acquisizione da parte di Saddam Hussein di uranio in Niger, in pratica il pretesto per l’invasione dell’Iraq del 2003.

“Quando la Cia o l’Fbi hanno bisogno dell’assistenza di un governo straniero in un’operazione segreta, e questa era più importante di Abu Omar o del falso dossier sul Niger, cercano di coinvolgere gli stessi alti funzionari che fornirono aiuto in passato e che sono ritenuti controparti sicure e affidabili”. Questi funzionari, continua la de Sousa, “agiscono ad un livello che è al di sotto del primo ministro e al di sopra dell’intelligence. Questo gruppo consente così ai primi ministri di poter negare un coinvolgimento diretto. Sono loro quelli che muovono le cose in Italia”.

"POLLARI E MANCINI INNOCENTI PER RAPIMENTO IMAM" - L’approvazione della rendition di Abu Omar e lo stop alla sorveglianza della Digos, decisi “ad alti livelli dell’amministrazione italiana” dice la de Sousa facendo un passo indietro nella cronologia degli eventi, “assolve i funzionari del Sismi”. Il riferimento della de Sousa è in particolare nei confronti di Nicolò Pollari, l'allora direttore del Servizio, e dello 007 Marco Mancini, inizialmente rinviati a giudizio e condannati insieme ad altri funzionari dell'intelligence, per concorso nel sequestro di persona dell'imam milanese. Nel febbraio 2014, infine, la Corte di Cassazione, recependo una sentenza della Corte costituzionale in merito alla legittimità del segreto di Stato imposto dal governo, annullò senza rinvio la sentenza di condanna della Corte d'appello di Milano emessa il 12 febbraio 2013.

La de Sousa punta il dito anche contro l'ex direttore della Cia John Brennan (tra il 2013 e il 2017) finito, secondo quanto riporta la stampa Usa, nel mirino del procuratore Durham nella sua contro-indagine sul Russigate-Spygate ai danni di Trump. "E' lui che escluse il mio nome dalla lista di agenti che dovevano essere graziati dal presidente Mattarella - sostiene - fu una rappresaglia per i miei tentativi di difendermi dalle accuse e scagionare me stessa".

Addirittura, Brennan sarebbe volato in Portogallo per trattare personalmente la vicenda della de Sousa, "mi è stato confermato dall'intelligence portoghese", dice l'ex agente. L'allora direttore della Cia, afferma la de Sousa, "non voleva correre rischi col mio caso", dopo che Trump, diventato presidente, aveva promesso di 'riportare a casa' tutti gli americani "ingiustamente" condannati all'estero. L'obiettivo di Brennan, lascia intendere la de Sousa, sarebbe stato sempre quello: mantenere in vita l'"accordo", lo "scambio", per impedire che Jeffery Castelli rivelasse la sua verità sulla vicenda Abu Omar.

"C'È UN DOCUMENTO CHE SCAGIONA I FUNZIONARI SISMI FINITI A PROCESSO PER ABU OMAR" - C'è poi un'altra circostanza che, secondo l'ex agente della Cia, alimenterebbe l'ipotesi di una manovra concertata per evitare di fare chiarezza fino in fondo sulla vicenda Abu Omar. Un "documento", la cui desecretazione sarebbe stata inseguita invano sia dallo 007 Mancini che dallo stesso Copasir, come testimonia un video di denuncia pubblicato su Facebook il 6 ottobre 2016 da Angelo Tofalo del M5S, attualmente sottosegretario alla Difesa, ma all'epoca membro del Comitato parlamentare per la Sicurezza della Repubblica.

Il titolo era eloquente: "Il governo mette il bavaglio al Copasir". Argomento, la vicenda di Abu Omar e la "copertura politica perpetrata e continua sulla vicenda". Tofalo, tra l'altro, sosteneva che "esiste un documento mai rivelato prima, non coperto dal segreto di Stato, così come confermato dallo stesso Presidente del Consiglio Matteo Renzi.... che riscriverebbe completamente questa triste pagina di storia che ha coinvolto i servizi segreti italiani". Quel documento, secondo la de Sousa, "probabilmente conteneva i nomi degli alti funzionari italiani che non solo approvarono il rapimento, ma lo facilitarono fermando l'indagine della Digos" sull'imam milanese.

Secondo alcune dettagliate ricostruzioni giornalistiche vi fu un'indagine interna al Sismi che avrebbe scagionato Pollari, Mancini e gli altri funzionari coinvolti nell'inchiesta della Procura di Milano. La notizia dell'indagine interna venne però assai ridimensionata, se non del tutto smentita, dai vertici del servizio. Tutto, mentre in quei giorni trapelavano anche indiscrezioni, mai confermate, sul presunto coinvolgimento nella rendition dell'imam milanese di altri agenti del Sismi, diversi da quelli finiti sotto processo. Agenti che non sarebbero appartenuti alla divisione guidata da Mancini, ma ad altra divisione del Servizio italiano.

"IO FUGGITA PERCHÉ HO AVUTO PAURA DI UNA NUOVA RAPPRESAGLIA DELLA CIA" - 'Schiacciata' tra il segreto di Stato imposto dall'Italia e tra le presunte manovre della Cia per mantenere in piedi l'"accordo" tra Washington e Roma, la de Sousa fa un altro salto temporale e sostiene che la 'sua verità' avrebbe "reso pericoloso per me rimanere in Italia". Siamo quindi allo scorso ottobre, i giorni in cui decide di 'evadere' e di lasciare il nostro Paese. Ci sarebbe stata una "nuova rappresaglia, in che forma non lo so".

Cosa glielo fece credere? "L'ultima volta che fui fermata in Portogallo, arrivò Brennan. Subito dopo venni incarcerata arbitrariamente. Haspel, fra tutti i vertici della Cia, è quella che più è a conoscenza di come il caso Abu Omar venne gestito a partire dal 2002. Era disposta a farmi scontare una condanna, con assenza di prove, per decisioni prese quando lei era un alto funzionario della Cia, per evitare di essere condannata e proteggere Castelli. Per me è una cosa sconcertante".

Registriamo la versione della de Sousa, ma rimane il dubbio del perché, per sfuggire ad una 'vendetta' della Cia, l'ex agente si sia rifugiata proprio negli Stati Uniti, tra l'altro a pochi mesi dalla fine della sua condanna in Italia, al termine della quale sarebbe uscita definitivamente, almeno dal punto di vista giudiziario, dalla vicenda Abu Omar.

"MIFSUD USATO DA SERVIZI DI INTELLIGENCE OCCIDENTALI" - Nel racconto dell'ex agente Cia, arriviamo infine al Russiagate-Spygate, al presunto ruolo dei servizi segreti italiani, che hanno più volte smentito qualsiasi coinvolgimento, nella vicenda. Alla misteriosa figura di Joseph Mifsud, il professore maltese della Link University che nel marzo del 2016 avrebbe 'adescato' il consulente della campagna elettorale di Trump, George Papadopoulos, per offrirgli materiale "sporco" sulla rivale democratica Hillary Clinton, sotto forma di migliaia di email hackerate in possesso dei russi. In breve, la 'scintilla' che fece partire l'indagine Fbi sui presunti rapporti tra Trump e la Russia, poi sfociata in un nulla di fatto.

Nel rapporto finale dell'inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller, che accorpò l'indagine dell'Fbi avviata nel 2016, Mifsud era probabilmente un asset dell'intelligence di Mosca. Secondo la contro narrazione della Casa Bianca e dei Repubblicani, il professore maltese era invece un 'agente provocatore' manovrato dall'intelligence occidentale. "Non ho mai avuto contatti con la Link University, né col misterioso Mifsud", dice subito la de Sousa. Il professore maltese, che lo scorso novembre si è fatto vivo dal suo nascondiglio con un nastro recapitato all'Adnkronos e al Corriere della Sera, la cui attendibilità non è mai stata accertata ufficialmente, "coltivava una vasta rete di relazioni, che lo rendeva un bersaglio attraente per qualsiasi servizio di intelligence".

Di una cosa è però convinta la de Sousa, più che un agente russo mandato ad inquinare la campagna di Trump, Mifsud ai suoi occhi appare come "qualcuno al quale sono state date delle istruzioni per conto di un servizio di intelligence occidentale. L'utente finale potrebbero essere la Cia o l'Fbi". L'ex agente Usa inoltre, senza però fornire alcuna prova, afferma che "è l'Italia che lo sta nascondendo, per proteggere qualcuno, ma è una mia supposizione".

"IN VICENDA ABU OMAR E IN SPYGATE STESSO MODUS OPERANDI" - La de Sousa ritiene che Mifsud "forse conosceva le identità degli italiani che lavoravano a stretto contatto con i vertici della Cia e dell'Fbi". La domanda, sul presunto complotto ai danni di Trump, che la De Sousa si fa, è: "Obama ne era a conoscenza?. Se è così, allora anche i governi italiani dell'epoca ne erano a conoscenza. Trump sembra credere che Obama sapesse". Quel che è certo, dice ancora la de Sousa, è che "ci sono delle somiglianze nel modus operandi nella vicenda Abu Omar e nel cosiddetto Spygate: i capri espiatori, così come lo sono stata io".

La de Sousa ricorda anche che è passato oltre un anno da quando in una lettera chiese al premier Giuseppe Conte di rimuovere il segreto di Stato sugli atti che riguardano il mio caso davanti alla Corte europea dei Diritti umani. "Non ho avuto alcuna risposta". Perché a suo giudizio? "Perché rimuovere il segreto di Stato rivelerebbe le identità delle persone che la Cia e l'Italia hanno voluto mantenere coperte. Quelli che dovrebbero essere processati per una rendition ingiustificata".

C'è infine un'ultima domanda per la quale, più di ogni altra, difficilmente si avrà una risposta. Riguarda alcuni 'rumours' che circolano da quando la de Sousa è inspiegabilmente - nonostante le motivazioni fornite - fuggita dall'Italia. Voci che parlano di un 'segnale' ben preciso che l'Amministrazione Trump avrebbe lanciato all'Italia, alla luce dello Spygate: l'"accordo" del passato non esiste più. La de Sousa non è fuggita, è stata 'riportata a casa', come promesso dal presidente Usa. Quello dell'ex agente Cia sarebbe quindi solamente un gioco della parti, in attesa delle conclusioni dell'inchiesta del procuratore Durham, che punta a scoprire cosa accadde veramente nel 2016, e che forse potrebbe svelare anche nuove verità sulla rendition del 2003.

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