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Sacerdote di Kiev: "Mentre cadono missili alzo gli occhi al cielo e chiedo perché?"

23 aprile 2022 | 16.58
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Sacerdote di Kiev:

"Capita anche a me, spesso, di alzare gli occhi al cielo e chiedere al Signore: perché? Vedo i missili cadere, il terrore nella gente e sento i racconti che arrivano dal nord, le razzie, le torture, gli stupri, la morte. Ho mille domande anche io, e non è facile nemmeno per un sacerdote trovare le risposte a tutto questo". Alexsey Samsonov è il prete della parrocchia dell'Assunzione, a Kiev, e direttore di Radio Maria in Ucraina. Ma ancor prima di tutto questo è un uomo che all'Adnkronos racconta la paura, i dubbi e la sua resistenza, deciso a non lasciare la capitale e i fedeli. Mentre racconta la sua missione di parroco in una città di guerra, dall'altro capo del telefono si sentono solo gli uccellini, in un attimo di tregua. "A Kiev pian piano la situazione sta tornando alla normalità - dice Alexsey - I missili continuano a cadere, gli allarmi a suonare, certo; ma dopo 59 giorni di guerra ci abbiamo fatto l'abitudine".

"Oggi a Kiev la vita è difficile, tra posti di blocco e coprifuoco dalle 22 alle 5 - continua il sacerdote - Il governo invita la gente ad aspettare a tornare, che non è possibile garantire loro la dovuta sicurezza, ma in tanti stanno rientrando dalla Polonia e dagli altri Paesi. I negozi e le attività riaprono, c'é voglia di normalità. Così pure io celebro messa ogni giorno, forse più di quanto facessi in tempo di pace. La gente viene numerosa, ha paura e cerca sicurezza, speranza e luce. L'ascolto della radio è aumentato di tre volte, il bisogno di preghiera è costante".

Proprio uno di questi momenti di preghiera è, ci dice il parroco di Kiev, uno dei suoi ricordi più cari durante questa guerra: "Era il terzo, forse il quarto giorno dall'inizio dei bombardamenti - racconta - A Konotop, a nord dell'Ucraina, i russi erano già arrivati. Ho chiamato quindi le parrocchie, il parroco mi ha detto che la gente si nascondeva lì, così ho proposto un momento di preghiera tutti insieme. Ho fatto la diretta con il telefono, quasi piangevo in quel momento di raccoglimento, è stato davvero toccante. Ma non solo, non scorderò anche la confidenza che mi fece un parroco della città di Cernihiv. Mi disse che non sapeva cosa fare, se andare via come gli dicevano i fedeli, se mettersi in salvo o restare. Andò in una cappella, a chiedere al Signore. Appena uscito, il ponte che univa la città con Kiev è stato distrutto dai russi: era il segno, secondo lui, che doveva restare. Aveva avuto la risposta alla sua domanda".

E il segno è arrivato anche a lui, parroco della resistenza mai fuggito da Kiev. "Nel mio lavoro in radio dovevamo organizzare tutto, nonostante la guerra, sempre in diretta, tranne la notte. I primi giorni in cui bombardavano - racconta ancora all'Adnkronos Alexsey Samsonov - ho detto al mio staff che erano liberi di restare o andare via. Hanno fatto ciò che sentivano e sono rimasto da solo con una suora. Non sapevo come fare. Ed è stato allora, quando più ero affranto, che ha iniziato ad arrivare altra gente, i volontari. Dio aveva provveduto, abbiamo trovato i soldi, persone che ci dessero una mano a trasmettere. E anche se i russi sparavano con i missili alle torri delle telecomunicazioni, quattro le nostre colpite, la radio non ha mai smesso di funzionare. Non me ne sono andato, e ho fatto bene. Non ci ho nemmeno mai pensato. E' qui che la gente ha più bisogno di preghiera e conforto".

Non solo dubbi, anche l'umanità del sacerdote ucraino può scontrarsi con un messaggio di pace troppo più alto, quello del porgere l'altra guancia, di perdonare. "Per noi la via Crucis, con le due donne ucraina e russa insieme, è stata uno scandalo - spiega il parroco di Kiev - Non è che non vogliamo la pace, arriverà il momento della riconciliazione, ma la via Crucis c'é stata proprio quando abbiamo scoperto cosa avevano fatto a Bucha. Proprio quando stare con i russi si è rivelato mai tanto difficile. Così con il patriarca Kirill - incalza - che ha sempre benedetto l'esercito russo, che ha sempre sostenuto Putin. Tanti ortodossi del patriarcato di Mosca si sentono traditi, pensavano fosse un padre invece si è rivelato per loro un cattivo patrigno. Non si può dialogare, certo bisogna cercare la pace, ma è difficile. Una mia amica, una fedele di Mikolayv sotto bombardamenti, mi ha chiamato confidandomi che, sebbene Gesù dica di amare i nemici, lei ora non può. Questo Paese, a guerra finita, non tornerà più lo stesso, la gente non è la stessa, anche i rapporti tra le chiese cambieranno".

Quanto, infine, alla difesa territoriale ricca di volontari tra gente comune e inesperta, Samsonov ricorda l'impegno dei sacerdoti che "non possono imbracciare le armi - sottolinea - ma possono continuare la loro missione. Nell'esercito ci sono tantissimi cappellani che vanno sul campo vestiti da soldati a pregare con i militari, per far sì che il loro cuore non diventi troppo duro durante la guerra, perché possano un giorno tornare alle loro vite come erano prima, non abbrutiti dalle violenze e dal male. Il nostro compito, dopo Bucha e altri crimini, è di non diventare come loro, ma restare normali. L'unica cosa che so è che Cristo è qui e soffre con noi. Dietro questa guerra c'é Satana che vuole distruggere le vite. Sono sicuro che Putin sia posseduto, non è una persona normale e la nostra guerra non è solo sul campo di battaglia ma anche spirituale. Ho chiesto una mano al Signore. Ma tanti fedeli dedicano le loro preghiere anche ai russi, a Putin, ai militari perché tornino sulla retta via. Presto".

(di Silvia Mancinelli)

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