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Biotech: il venture capitalist, italiani risparmiatori investano su start-up

23 gennaio 2015 | 10.01
LETTURA: 4 minuti

Paracchi di Genenta Science, in Italia c'è un valore scientifico enorme che può far uscire dalla crisi

Pierluigi Paracchi, chairman e Ceo Genenta Science - FOTOGRAMMA
Pierluigi Paracchi, chairman e Ceo Genenta Science - FOTOGRAMMA

"Gli italiani? Un popolo abbastanza ricco, al contrario di ciò che siamo ormai abituati a credere. Ci sono ancora molte persone con patrimoni di parecchi milioni di euro, investiti in titoli di Stato o nel settore immobiliare. Ma dirottare questo 'tesoretto' sul settore dell'innovazione, biotech in testa, avrebbe un effetto prepotente non solo sul reddito di queste persone, ma anche sul benessere del Paese". A dirlo è Pierluigi Paracchi, chairman e Ceo di Genenta Science, fondata dall'ospedale San Raffaele, dal direttore del Tiget (Istituto di Telethon per la terapia genica) Luigi Naldini e dall'ematologo Bernhard Gentner, uniti per trasformare in impresa una nuova cura genica contro i tumori. Di oggi la notizia che Genenta Science ha raccolto quasi 10 milioni di euro di fondi privati a soli 5 mesi dalla nascita.

Paracchi è stato anche fondatore di Quantica, primo venture capital italiano dedicato alle start-up del mondo della ricerca scientifica e fra gli investitori che sono riusciti a concludere, lo scorso anno, uno degli affari più clamorosi degli ultimi tempi: la vendita all'americana Clovis Oncology di Eos, start-up biotech 'tricolore', per quasi mezzo miliardo di dollari.

"E vendere agli americani un'azienda italiana non è un gioco", assicura all'Adnkronos Salute. "In Italia la cultura del venture capital è molto poco sviluppata - spiega Paracchi - eppure siamo ancora un Paese di gente ricca, e fra le prime 10 economie mondiali. "Ma chi ha capitali importanti si concentra su titoli di Stato, con un rendimento che fino al qualche anno fa era del 3-4%, e storicamente sulle seconde, terze, quarte case. Ma ora i tassi sono a zero e il patrimonio immobiliare è fra i più tassati, senza che ci sia una prospettiva certa di rivalutazione. Insomma, questi risparmiatori dovrebbero, e i più attivi già lo fanno, guardarsi in giro alla ricerca di investimenti in attività produttive innovative". E non servono milioni per investire nel biotech, "ma in alcuni casi è possibile limitarsi anche a 50-100 mila euro".

Importante notare che "per chi investe in start-up innovative - evidenzia Paracchi - ci sono dal 2012 efficaci agevolazioni: la legge consente di detrarre immediatamente dalle tasse il 19% ogni 500 mila euro (95 mila euro). Il biotech italiano ha una storia importante, con scienziati di fama internazionale e in alcuni casi anche in odore di Nobel, centri di eccellenza competitivi a livello mondiale. Nonché una storia recente di successo: nel solo ultimo anno e mezzo le aziende pharma-biotech italiane hanno generato, fra cessioni e quotazioni in Borsa, un valore di 9 miliardi di euro in Italia. Oltre a Eos, infatti, ci sono stati i 'casi' Okairos (acquisita da GlaxoSmithKline), Intercept (quotata al Nasdaq), Gentium (acquisita da Jazz Pharmaceuticals) e Nogra Pharma (venduta a Celgene)".

Non solo gli investitori italiani devono diventare più 'smart', secondo l'imprenditore, ma "anche i laboratori di ricerca devono trasformare le loro scoperte velocemente in brevetti (che porta un vantaggio e un business globale, con ritorni altissimi) e aumentare la cultura del venture capital, sforzandosi di capire di cosa vanno alla ricerca gli investitori. Occorre avvicinare i linguaggi per abbreviare i tempi, anche perché il venture capital è 'pigro' e vuole solo trovare idee innovative, senza complicazioni".

"Invece si incontrano ancora oggi grandissime difficoltà quando si parla con un Irccs o con scienziati, anche di fama - precisa Paracchi - Molto raramente li trovo preparati sull'opzione spin-off, e questo è davvero un limite, perché così non si sprigiona tutta la ricchezza che può esserci dietro a una scoperta scientifica. Uno scienziato deve anche capire questo: si possono creare ricchezze e valori impressionanti dalla scienza italiana. Non si deve piangere perché la ricerca è in crisi - conclude - ma chiedersi cosa si può e si deve fare per trasferire il sapere in impresa, acquisendo le competenze mancanti".

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