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Italia primo produttore farmaci in Ue

11 luglio 2018 | 11.55
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Italia-Germania 1-0. Il nostro Paese è ora il primo produttore farmaceutico dell'Unione europea. Dopo anni di inseguimento, l'Italia ha superato la Germania con una produzione di 31,2 miliardi di euro contro i 30 dei tedeschi. Un successo dovuto al boom dell'export che oggi sfiora i 25 miliardi. Se ne parla oggi a Roma in occasione dell'Assemblea pubblica di Farmindustria, l'associazione delle industrie farmaceutiche che compie quest'anno 40 anni, esattamente come il Servizio sanitario nazionale.

A contribuire le aziende a capitale nazionale, con imprese che singolarmente oggi arrivano a investire oltre 300 milioni di euro all'anno in ricerca e sono ai primi tre posti tra le imprese di tutti i settori manifatturieri. Occupano fino a 17.000 addetti e sono leader in aree mondiali. Senza dimenticare le tante altre, che portano nel logo il nome di famiglia, che hanno sfidato i mercati globali con successo, anche in segmenti altamente innovativi. Ci sono poi quelle a capitale estero, che hanno in diversi casi origini antiche in Italia con propri stabilimenti e centri di ricerca. E tra le imprese a capitale estero, la farmaceutica è il primo settore per somma di investimenti ed export.

"Abbiamo dimostrato sul campo di essere una freccia nell'arco del Sistema Italia. E possiamo ancora esserlo attraverso una partnership con le istituzioni per risolvere i problemi urgenti e fondare una governance di lungo respiro. Siamo disponibili a contribuire con proposte concrete allo sviluppo del Paese. Come abbiamo sempre fatto. E come vogliamo continuare a fare", commenta Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria.

La crescita della produzione negli ultimi 10 anni è stata determinata, appunto, al 100% dalle esportazioni. L'Italia ha segnato il maggiore incremento dell'export farmaceutico - che, tra l'altro, è anche il più alto di tutti i settori del Paese - tra i Big Ue negli ultimi 10 anni (107% complessivo rispetto a 74%). Un export che è cresciuto dal 1991 al 2017 di 15 volte, passando da 1,3 a 24,8 miliardi.

Nella classifica per export dei 119 settori dell'economia in Italia, nel 1991 i medicinali erano al 57esimo posto, oggi sono al quarto (dopo due settori della meccanica e gli autotrasporti). E nella classifica nazionale per export dei poli tecnologici di tutti i settori, i primi due sono farmaceutici - Lazio e Lombardia - e Toscana e Campania sono rispettivamente al quarto e al settimo posto. La farmaceutica rappresenta il 55% dell'export hi tech del Paese.

Le imprese del farmaco nel 2017 hanno investito 2,8 miliardi (1,5 in ricerca, 1,3 in impianti produttivi). Valore cresciuto del 3% dall'anno precedente e di oltre il 20% dal 2012.

Segno più è stato registrato anche sul fronte occupazionale. Gli addetti nel 2017 hanno raggiunto quota 65.400 (93% a tempo indeterminato), 1.000 in più rispetto al 2016. E nell'ultimo triennio le assunzioni sono state 6.000 ogni anno. Gli addetti farmaceutici negli ultimi 2 anni sono cresciuti più che in tutti gli altri settori (+4,5% rispetto a +1,3% della media manifatturiera).

Fiore all'occhiello del settore è l'occupazione giovanile: secondo i dati Inps, dal 2014 al 2016 gli addetti 'under 35' nell'industria farmaceutica sono aumentati del 10%, rispetto al +3% del totale dell'economia. Rappresentano il 55% del totale degli addetti in più e quasi tutti sono a tempo indeterminato (3 su 4).

Gli addetti in R&S sono pari a 6.400, più della metà donne. E con 1,5 miliardi investiti nel 2017 (il 7% del totale), l'industria farmaceutica è terza in Italia tra i settori manifatturieri per investimenti in R&S, cresciuti del 22% negli ultimi 5 anni (300 milioni di euro in più). Di più della media degli altri Paesi europei (16%). Ed è prima per spese per innovazione per addetto. Quanto agli studi clinici, uno su 5 in Ue viene svolto nel nostro Paese, grazie alle molte eccellenze ospedaliere e ai medici e a tutti gli operatori sanitari. Gli investimenti da parte delle imprese del farmaco per gli studi clinici sono di 700 milioni all'anno, tra i più alti contributi al sistema nazionale di ricerca.

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