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Nuovo studio apre a potenziali farmaci contro la Sla

29 dicembre 2015 | 08.26
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Immagine di repertorio (Infophoto) - INFOPHOTO
Immagine di repertorio (Infophoto) - INFOPHOTO

Ricercatori della University of North Carolina School of Medicine (Usa) annunciano la prima descrizione attraverso dati basati sull'evidenza dei grumi di proteine ​​neuronali con un ruolo chiave nell'insorgenza della sclerosi laterale amiotrofica (Sla), conosciuta anche come morbo di Lou Gehrig, malattia neurodegenerativa fatale. Lo studio, pubblicato online su 'Proceedings of the National Academy of Sciences', fornisce anche la prima prova definitiva che questi grumi proteici ​​sono tossici per il tipo di neuroni che muoiono nei pazienti affetti da Sla.

Per gli autori, questa ricerca potrebbe rappresentare un passo cruciale verso lo sviluppo di farmaci in grado di fermare la formazione dei grumi e la progressione della malattia. Lo studio si concentra su un sottoinsieme di casi di Sla - circa l'1-2% - che sono associati con le variazioni in una proteina nota come Sod1. Tuttavia, anche nei pazienti senza mutazioni nel gene Sod1, questa proteina ha mostrato di formare grumi potenzialmente tossici. I ricercatori hanno scoperto che la proteina forma agglomerati temporanei di tre, noti come 'trimeri', e che questi grumi sono in grado di uccidere le cellule simili ai neuroni motori coltivati in laboratorio.

"Uno dei più grandi enigmi dell'assistenza sanitaria è come affrontare le malattie neurodegenerative: a differenza di molti tipi di cancro e di altre patologie, al momento non abbiamo armi in grado di ostacolarle", evidenzia l'autore senior dello studio, Nikolay Dokholyan. "Questo studio è un grande passo avanti, perché mette in luce l'origine della morte del motoneurone e potrebbe essere molto importante per la scoperta di nuovi farmaci".

Il team prevede di approfondire quale sia la 'colla' che tiene i trimeri insieme, al fine di trovare potenziali terapie che possano 'romperli' o evitare che si formino. Inoltre, questi risultati potrebbero aiutare a far luce su altre malattie neurodegenerative, come Alzheimer e Parkinson.

"Ci sono molte somiglianze tra le malattie neurodegenerative", fa notare Dokholyan. "Quello che abbiamo trovato in questo caso sembra confermare ciò che era già noto sull'Alzheimer, e se riusciamo a capire di più su ciò che accade, si potrebbe potenzialmente aprire una prospettiva in grado di comprendere le radici di altre malattie neurodegenerative".

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