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Effetto grattacielo, meno chance di salvezza con un malore ai piani alti

18 gennaio 2016 | 19.33
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Un attico ai piani alti con vista mozzafiato che domina la città è un lusso che si rischia di pagare ancora più caro del prezzo al metro quadro. Il tributo nascosto è per il cuore: abitare 'fra le nuvole' sarà sinonimo di upper class e di scalata dei gradini della società, ma non conviene in caso di arresto cardiaco.

Uno studio scientifico condotto in Canada ha infatti dimostrato che i tempi di soccorso si allungano, complici le tante rampe di scale che separano l'ambulanza dal paziente, e il risultato è che i tassi di sopravvivenza diminuiscono quanto più in alto è il piano in cui si vive. I dati sono impietosi: sopra il 25esimo piano nessun sopravvissuto fra gli 8.126 casi esaminati, adulti che hanno subito un arresto cardiaco extraospedaliero con primo intervento dopo chiamata al numero di emergenza fra gennaio 2007 e dicembre 2012. Teatro della ricerca: la città di Toronto e il Peel, una regione vicina.

Questione di barriere architettoniche che intralciano la corsa contro il tempo dei soccorritori, vitale in caso di cuore in panne. "Il nodo dell'accesso all'edificio, il ritardo causato dagli ascensori", spesso intasati, "e dalle distanze più ampie fra il mezzo di emergenza e il luogo dell'intervento, sono tutti fattori che possono contribuire a un allungamento dei tempi necessari per raggiungere il paziente e cominciare le manovre salvavita", spiega Ian Drennan, autore principale dello studio pubblicato sul 'Canadian Medical Association Journal'. Drennan è un paramedico degli York Region Paramedic Services e svolge attività di ricerca con il Rescu, gruppo con base al St. Michael's Hospital.

L'autore conclude che i grattacieli sono nemici del cuore: nei casi di arresto cardiaco analizzati, la sopravvivenza è risultata pari al 4,2% per i pazienti che vivevano al di sotto del terzo piano e del 2,6% per chi abitava dal terzo piano in su. E gli scienziati hanno osservato, man mano che il numero dei piani aumentava, una continua diminuzione dei tassi, fino allo 0,9% per chi risiedeva sopra al 16esimo piano (su 216 pazienti solo due ce l'hanno fatta), e a zero sopravvissuti sopra il 25esimo.

Quando un cuore si ferma, "possono fare la differenza fra la vita e la morte anche l'avvio immediato di manovre rianimatorie da parte di presenti e l'uso di un defibrillatore automatico esterno eventualmente disponibile nelle vicinanze", spiega Drennan precisando che solo il 30% delle vittime di arresto cardiaco riceve questo primo e tempestivo intervento. Con un ritmo cardiaco in rapido deterioramento, in mancanza di persone in grado di intervenire, gli arresti cardiaci che avvengono ai piani superiori possono avere a maggior ragione una minore probabilità di sopravvivenza. A questa si aggiunge poi un'ulteriore possibile spiegazione, legata semplicemente al fatto che ci vuole più tempo per portare il paziente fuori dall'edificio.

Tanto che lo studio lancia anche una serie di raccomandazioni: dalla necessità di migliorare l'accesso ai defibrillatori, installandoli anche ai piani superiori o negli ascensori, all'ipotesi di dare ai paramedici delle chiavi universali (simili a quelle in dotazione dei vigili del fuoco) per l'accesso esclusivo a determinati ascensori. O ancora un sistema per allertare prima dell'arrivo dei soccorsi la sicurezza del palazzo. Nel complesso, lo studio segnala da un lato un aumento del 20% del tasso degli arresti cardiaci occorsi in residenze private negli anni dello studio e, parallelamente, dal 2006 al 2011, un aumento del 13% del numero di persone che vive in edifici alti a Toronto.

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