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Se fegato e intestino non parlano, italiani scoprono ormone anticancro

28 gennaio 2016 | 18.16
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(Xinhua)
(Xinhua)

Stessa carta d'identità, velocità diverse. Perché un tumore con le stesse caratteristiche genetiche e mutazionali mette il turbo in un paziente e procede più lentamente in un altro? Se lo è chiesto un team di scienziati italiani che, in cerca della 'benzina' che dà al cancro l'energia per diventare aggressivo e accrescersi, ha scoperto nell'intestino uno 'scudo' contro alcune forme di epatocarcinoma che colpiscono anche i bambini.

Driver della scoperta uno dei cervelli italiani rientrati dall'estero - gli Usa in questo caso - grazie a un finanziamento dell'Associazione italiana per la ricerca sul cancro: Antonio Moschetta, professore di Medicina interna all'università di Bari, che ha testimoniato l'importanza del sostegno alla ricerca in occasione del lancio dell'iniziativa Airc 'Le arance della salute'.

Anni fa il team di Moschetta si è occupato di capire qual era esattamente il messaggio che l'intestino inviava al fegato: "Nel 2010 abbiamo scoperto che alla fine del processo l'intestino secerne un nuovo ormone - 'Fibroblast growth factor 19' - che l'ileo invia al fegato come segnale del blocco della digestione". Un messaggio per far capire che "non c'è più bisogno di fare bile e acidi biliari". Questo ciclo si ripete diverse volte nella giornata. I problemi cominciano quando si crea un 'black out' comunicativo.

Nel 2005 Moschetta, oggi 42enne, era un giovane ricercatore che ha avuto l'opportunità di proseguire in Italia il suo lavoro di ricerca con il grant 'Start up', fondi dedicati dall'Airc agli under 35. Poi è arrivato anche un 'Investigator grant' (in corso), che lo scienziato si è aggiudicato proprio per questi studi.

L'esperto si è imbattuto anni fa in alcuni epatocarcinomi che, spiega, "nascevano quando il fegato andava incontro a uno stop del suo collegamento con l'intestino. Questi due organi funzionano come uno solo: il fegato, attraverso la bile che viene secreta nell'intestino per digerire dopo l'assunzione di cibo, parla con l'intestino. Questo a sua volta, quando il cibo è arrivato alla fine dell'ileo, è in grado di ricomunicare con il fegato".

"Ci sono patologie - continua Moschetta - in cui il fegato non parla più con l'intestino. E' il caso di alcune malattie genetiche dei bambini che non consentono l'eliminazione degli acidi biliari e portano alla formazione di epatocarcinomi già al di sotto dei 15 anni. L'ipotesi avanzata dagli scienziati è che, non arrivando più bile o arrivandone di meno, l'intestino probabilmente non è in grado di produrre a sua volta nella misura necessaria quell'ormone che dà il segnale di fine digestione. Viene così a mancare il feedback negativo che fa capire al fegato che non deve più fare acidi biliari. La produzione continua e, non potendole eliminare, queste molecole diventano tossiche e pro-tumorigeniche".

Reinserendo questo ormone, chiarisce lo scienziato, "siamo in grado di prevenire quasi totalmente e di ottenere una protezione da questi tumori, ripristinando la condizione necessaria per evitare la produzione di composti metabolici tossici che portano alla nascita del carcinoma".

Lo studio è stato oggetto di più pubblicazioni - prima su 'Epathology' e pochi giorni fa su 'Nature Drug discovery' - e la meta del letto del paziente è a pochi passi. "Questo ormone è già in fase III negli Usa ed esiste una futura terapia che può portare attraverso una pillola a produrre questo ormone. Il suo ingresso in clinica potrebbe avvenire già ad aprile di quest'anno. Siamo vicini dal punto di vista traslazionale alla possibilità di proteggere dall'epatocarcinoma i soggetti che presentano questo cortocircuito fra fegato e intestino".

L'ormone funziona male anche negli obesi e in alcuni soggetti con diabete mellito ed è stato inserito in una fase II anche come terapia per queste due condizioni. "Il futuro della ricerca in questo campo - conclude Moschetta - è continuare a indagare nell'intreccio fra nutrizione, momento post-prandiale, intestino e fegato. Ritengo che la centrale metabolica del nostro organismo sia nel triangolo intestino-fegato-cervello e che questo triplo link sarà quello che ci farà capire sempre di più perché i tumori corrono a velocità diverse. Un aiuto per la prevenzione e le cure standard. Per questo la ricerca va sostenuta. In Italia abbiamo quasi 2,6 milioni di persone guarite da tumori. Per i prossimi 5 anni l'obiettivo è raddoppiare questo numero".

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