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La psicologa: "'Mini-bulli' anche a 6 anni, educarli a diversità"

16 marzo 2016 | 17.53
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"Il bullismo è un fenomeno ormai quasi 'di moda', che si sta diffondendo molto nel nostro Paese e sta abbracciando una fascia d'età sempre più ampia", con bambini che vengono 'perseguitati' anche "alla tenera età di 6 anni. Lavorare sull'accettazione della diversità è l'unico modo per prevenire tutto questo. Se lo facessero gli insegnanti come educazione quotidiana, a prescindere da un'occasione particolare, visto che ora la nostra cultura si sta molto allargando e diversificando a causa dell'immigrazione, sarebbe una misura preventiva eccezionale". E' il parere di Luigia Milani, psicologa dell'età evolutiva e psicoterapeuta dell'adolescenza dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.

Il bullismo può essere diretto, quando si avvale dell'azione. Tipologia tipica dei maschi; indiretto, quando tende a danneggiare la vittima nelle sue relazioni con le altre persone, escludendola e isolandola; psicologico, che si manifesta attraverso la calunnia e il pettegolezzo rivolti verso la vittima. Tipologia, quest'ultima, propria del bullismo 'in rosa'. Al Bambino Gesù "seguiamo molti pazienti che sono vittime di bullismo - spiega l'esperta - e anche qualche 'bullo'. Non solo li seguiamo, ma capitano anche in valutazione, perché eseguiamo attività sia terapeutica che diagnostica. Osserviamo che l'età in cui si manifesta questo fenomeno si è estesa molto e non riguarda più solo l'adolescenza: fin dalla scuola elementare" ci sono episodi anche preoccupanti.

L'età 'clou' rimane però "quella dagli 11 ai 13 anni - evidenzia Milani - quando iniziano cambiamenti fisici e psichici importanti e il ragazzo comincia ad attraversare un momento davvero delicato: si perdono le sembianze del bambino, si acquisiscono strumenti cognitivi nuovi e per un periodo quasi non si sa più chi si è. E' allora che si diventa anche più sensibili al cambiamento dei coetanei e il gruppo acquisisce importanza estrema".

Quando però il bullismo si manifesta precocemente fa ancora più male, segnala la psicologa, "perché in senso generale un bimbo più piccolo ha meno strumenti per affrontarlo, è meno cosciente di sè rispetto all'adolescente. A ogni età, comunque, molto dipende dalla sicurezza interna che il ragazzo ha di sé e dunque da dalla base sicura" che si è costruita fino a quel momento soprattutto attraverso la famiglia. "Nel caso questa base sia solida, il giovane può subire una volta, due volte, ma poi cerca di uscire dalla situazione e perlomeno chiede aiuto. Mentre se questa coscienza interna è debole, allora il bambino si fa vittima costante".

Oppure può diventare anche 'carnefice': "Siamo abituati a vedere il 'bullo' con ostilità - spiega Milano - ma si tratta anche in questo caso di ragazzi che hanno problemi. Spesso vengono da un contesto familiare in cui ci sono dinamiche e relazioni per cui le reazioni non è bene che vengano espresse. Devono in qualche modo 'subire' e questo si ripercuote all'esterno".

Ci sono consigli da seguire per tentare di prevenire comportamenti come questi? "Per gli insegnanti, i segnali rivelatori possono emergere osservando la classe e le sue dinamiche: fra le situazioni che dovrebbero allertare l'isolamento di un soggetto, la creazione di gruppetti rigidi, la forte personalità di un alunno, l'andamento della classe nei momenti di svago e ricreazione. Per i genitori, cercare di cogliere anche piccoli eventuali disagi, cambiamenti d'umore, mancanza di voglia di andare a scuola, inquietudine. E avere contatti frequenti con gli insegnanti, cosa che vale viceversa anche per gli insegnanti".

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