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Salute: colpi di testa, per 'baby calciatori' palloni ad hoc e più attenzione

04 giugno 2016 | 12.33
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Mancano pochi giorni all'avvio dei Campionati Europei di calcio in Francia e tra i giovanissimi è già scattato il tifo per gli Azzurri. Appassionati che spesso iniziano a praticare il calcio fin dalla tenera età. Ma da diversi anni molte ricerche stanno indagano gli effetti dei traumi cerebrali degli sport da contatto, compreso il calcio, visti i tantissimi colpi di testa che si susseguono in un match. "I colpi di testa nei bambini calciatori non si vedono spesso - spiega all'Adnkronos Salute Antonio Belli, docente di Neurochirurgia dei traumi dell'Università di Birmingham che fa parte della commissione della Football Association (Fa) inglese, che studia i danni da concussioni - I rischi non sono conosciuti, ma noi consigliamo di usare palloni adeguati all'età e gonfiati alla pressione giusta e anche di evitare sessioni di allenamento che implichino colpi di testa ripetuti al di sotto dei 12 anni".

"Altri aspetti del colpo di testa (per esempio il saltare in maniera giusta per contendere la palla) possono e devono essere insegnati anche a livello molto precoce - prosegue Belli - proprio per evitare il rischio di conseguenze con il passare del tempo. In Inghilterra la Fa e la Rugby Football Union (Rfa) si stanno muovendo sia sull'aspetto educazionale, sia sulla diagnosi che sul trattamento del trauma cranico nei rispettivi sport. Ora stiamo anche programmando studi epidemiologi per quanto riguarda il legame fra questi sport e il rischio di demenza, ma non specificatamente per i colpi di testa (che sarebbero pressoché impossibili da studiare con metodi epidemiologici). Inoltre questi studi si concentrano su generazioni passate".

"Quello che sappiamo - ricorda il medico - é che il trauma cerebrale é un problema serio e come tale va trattato. La maggior parte delle persone guarisce in fretta, ma alcuni (circa il 15%) manifesta sintomi prolungati e in alcuni casi permanenti anche dopo una singola concussione. Quindi qualsiasi misura che riduca l’incidenza del trauma cranico nello sport o che ne faciliti la diagnosi e il trattamento é da incoraggiare. Si sa anche che i trauma cranici ripetuti possono portare a problemi cronici, ad esempio cefalee, vertigini e declino cognitivo. Tuttavia questo non vuol dire assolutamente che gli sport di contatto portino alla demenza".

L'attivitá fisica, in generale, diminuisce il rischio di demenza e anche se "alcuni studi - aggiunge Belli - suggeriscono un’incidenza relativa di patologie neurodegenerative in alcuni sport. Questi stessi studi e molti altri sottolineano come gli atleti professionisti abbiano un’incidenza più bassa di malattie cardiovascolari e di cancro, ma anche di suicidio, nonché una longevità superiore alla media".

In sostanza, prosegue l'esperto, "il trauma cranico ripetuto é sicuramente nocivo e da evitare, ma nell’attività sportiva ci sono molti fattori che si compensano e il risultato netto, per quanto ne sappiamo al momento, é un beneficio per la salute e per la società nel suo complesso".

Ma esiste un'associazione fra sport di contatto e patologie neurodegenerative?. "C'é ancora molto da approfondire - conclude Belli - e il legame é ancora più nebuloso per quanto riguarda i colpi di testa dei calciatori. Al momento, non si può escludere che alcuni soggetti predisposti, probabilmente su base genetica o in via di altre patologie concomitanti o per fattori ambientali o per stile di vita, siano particolarmente suscettibili al trauma cranico ripetuto, anche lieve come nel colpo di testa. Comunque l'evidenza epidemiologica suggerisce che questo effetto, se dovesse esserci, sarebbe comunque molto limitato".

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