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Brexit, la voce dei ricercatori da Italia a Gb: "La scienza non ha confini"

24 giugno 2016 | 16.25
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(foto: Afp)
(foto: Afp)

"La scienza non ha confini, né politici né etnici né religiosi". Per l'oncologo Umberto Veronesi nemmeno la Brexit potrà alzare un muro nel dialogo e nella collaborazione fra i ricercatori: "Sul sistema della conoscenza non credo che questo risultato avrà un impatto dirompente", dichiara all'AdnKronos Salute dopo la vittoria del 'Leave' al referendum sull'uscita della Gran Bretagna dall'Ue.

Il fondatore dell'Istituto europeo di oncologia di Milano fa un'altra riflessione: "Va considerato - osserva - che anche dal punto di vista scientifico l'Inghilterra ha sempre mantenuto una politica isolazionista. Ad esempio - precisa l'ex ministro della Sanità - nel mondo della ricerca è noto che gli inglesi tendono a condurre i loro studi all'interno del Paese, nonché a sviluppare politiche sanitarie 'calibrate' sulle caratteristiche della popolazione di origine britannica".

Anche per questo lo scienziato non prevede che la Brexit si tradurrà in uno tsunami per il settore. L'idea è che sarà più uno scossone di un terremoto. "Sono convinto che in ogni caso la comunità scientifica internazionale potrà mantenere i suoi rapporti con la Gran Bretagna, anche se - conclude Veronesi - potrebbe succedere che alcuni enti europei che attualmente hanno sede a Londra, per esempio l'Agenzia del farmaco Ema, dovranno cambiare sede".

"La scienza non ha barriere" nemmeno da vista chi la Brexit la sta vivendo Oltremanica. Alla vigilia del referendum "c'era una preoccupazione che purtroppo si è rivelata fondata - racconta all'AdnKronos Salute Giulio Cossu, 63 anni, scienziato italiano super esperto di staminali in forze all'università di Manchester - Ma proprio ieri ero insieme a un collega italiano e a uno tedesco e la convinzione era che di pochi punti si sarebbe rimasti dentro l'Ue". Una convinzione supportata anche dall'esito dei primi opinion poll usciti alla chiusura dei seggi, che davano in vantaggio il 'Remain'. Poi la doccia fredda.

"Al momento ci si ride sopra. Stamattina - ironizza Cossu, durante la pausa da un meeting al quale sta partecipando - non sono venuti a cercarci a casa. Ma la prossima settimana vado in Italia e al ritorno vediamo se riesco a rientrare". Scherzi a parte, però, all'alba del 'day after' in cui lo spettro della Brexit è diventato più concreto, l'unico sentimento che regna in ambienti scientifici è il dubbio e la confusione. "Inutile piangere su latte versato, ormai è fatta - si dice Cossu - e questa situazione nessuno sa che ripercussioni avrà". Soprattutto sui cervelli stranieri in Gb.

"A noi dell'ateneo di Manchester è arrivata una lettera della rettrice che ci rassicurava. Ne ho ricevuta una anche dall'Academy of Medical Sciences che assicurava ai membri stranieri che avrebbero fatto tutto ciò che era in loro potere perché nulla cambiasse. Le autorità della scienza e le università sono preoccupate". E non erano a favore del 'Leave'. "E' chiaro che l'ambiente universitario non è indicativo del Paese in generale, ma qui gli scienziati erano tutti al 100% per rimanere in Europa. Non ne ho incontrato uno a favore del Leave. Ora sono tutti afflitti dall'ipotesi dell'uscita, ma non cambia molto cose".

Dopodiché, riflette Cossu, "la scienza è mondiale, non ha confini e barriere, e non credo che saremo deportati, come diciamo scherzando fra di noi". Ma le incognite restano e non sono poche. Dal punto di vista di un camice bianco, in primis riguardano i fondi Ue alla ricerca targata Gb. "E' anche pensabile che il governo inglese stabilisca un accordo e continui a versare la quota parte che davano alla Comunità europea così da permettere agli inglesi di continuare a presentare le domande, ma può essere che la risposta di Bruxelles sia che i ricercatori inglesi - e quindi anche quelli che lavorano qui - non potranno più concorrere per i fondi europei. Questo renderà più difficile una competizione interna che era già diventata più dura negli ultimi 3-4 anni", ipotizza lo scienziato. "Ovvio che i contratti in corso saranno onorati", puntualizza. "Ma in futuro fondamentalmente nessuno sa cosa accadrà, quali saranno le ripercussioni - a lungo termine certo, non domattina - e ovviamente tutti gli stranieri cominciano a guardarsi intorno".

"La situazione è molto cambiata da ieri sera. Non sappiamo neanche se ci stiamo preoccupando in modo eccessivo - prosegue Cossu - ma le premesse giustificano questo. Poi magari ci sbagliamo e non succede niente". Dei segnali però ci sono già. "Ad esempio - racconta lo scienziato - una persona che doveva venire dall'Italia a lavorare con me qui a Manchester mi ha scritto chiedendomi se sarà ancora possibile, se in futuro sarà necessario un visto e quale. Chi lo sa? Sono le domande che mi faccio anche io, ma che non hanno risposta per ora".

In questo momento "noi sentiamo solidarietà e vero dispiacere da parte della comunità scientifica inglese, però purtroppo neanche in Inghilterra sono gli scienziati a decidere le sorti del paese e della scienza". E poi c'è il principio della libera circolazione dei pazienti: "Vedremo come il tutto verrà rivisto. I trial clinici che arruolano malati in Europa continueranno presumibilmente come prima, ma l'idea che un cittadino italiano vada a curarsi in Inghilterra probabilmente no, probabilmente ci sarà una trattativa complicata fra i Paesi. Non so prevedere". Quanto al suo futuro in Gb, Cossu risponde: "Per ora resto qui. Ma non so ancora cosa farò 'da grande'".

Spiazzata anche la scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo: è "una situazione inedita". Le conseguenze della Brexit, spiega all'AdnKronos Salute, "le capiremo cammin facendo. Ma temo non saranno positive".

Pensando agli scenari futuri, per Silvio Garattini, direttore dell'Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, "c'è certamente una prima preoccupazione che è rappresentata dal fatto che l'Agenzia europea del farmaco, Ema, è a Londra e bisogna vedere come si scioglierà questo nodo - dice lo scienziato all'AdnKronos Salute - Perché è l'agenzia che approva i farmaci per tutta l'Europa e dipende dalla Commissione europea. E' un primo grosso problema e un grosso cambiamento che certamente avverrà". Alla luce di questo, se l'Ema 'traslocasse' in Italia, osserva Garattini, "sarebbe un bene per il nostro Paese, ma immagino che ci siano anche altri contendenti, penso che sia una collocazione ambita".

Un altro problema, secondo il farmacologo, è che "uscendo dall'Europa non dovrebbero essere più disponibili i fondi della ricerca europei in collaborazione con l'Inghilterra. Certo, dato che su questo fronte l'Inghilterra fa la parte del leone da un punto di vista opportunistico, si apre un maggior spazio per gli altri, ma si perde una grande competenza. Speriamo dunque che ci siano possibilità di continuare la collaborazione. Se i fondi sono della Commissione europea è difficile che l'Inghilterra possa partecipare, a meno a che non sia possibile che faccia come la Svizzera, che partecipa ma paga con fondi suoi. Questi appaiono a mio avviso gli aspetti nell'immediato più impattanti per la ricerca scientifica, ammesso che si possa parlare di un effetto immediato", visti i tempi necessari per negoziare l'uscita dall'Ue.

Quanto alla circolazione dei cervelli e alla situazione degli scienziati stranieri in forze nei centri di ricerca britannici, l'Inghilterra, riflette Garattini, "è sempre stata pragmatica e ritengo sia contenta se può avere competenze e risorse umane. Credo che da quel punto di vista non dovrebbe cambiare granché: loro hanno interesse ad avere un apporto di intelligenze. Purtroppo noi gliene portiamo tante, perché i nostri giovani spesso scappano dalla situazione della ricerca in Italia".

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