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La paladina delle mamme in camice 'Direttore risorse umane dell'anno'

13 luglio 2018 | 13.09
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Rossella Blasi, direttore Risorse umane, Ifom Milano
Rossella Blasi, direttore Risorse umane, Ifom Milano

Le mamme in camice "sono delle vere eroine: se è già difficile lavorare e portare avanti una famiglia, ancora di più lo è se il lavoro è impegnativo, senza orari né fine settimana, fluido come quello del ricercatore. E il binomio diventa sempre più raro quando c'è un percorso di carriera importante". Lo sa bene Rossella Blasi, che da quasi vent'anni è responsabile risorse umane all'Ifom, Istituto Firc di oncologia molecolare di Milano, e che a 41 anni è madre di Martina e Nicolò. Lei che l'organigramma l'ha scalato da 'acrobata' divisa fra casa e ufficio, per semplificare la vita delle mamme Ifom ce l'ha messa tutta ed è stata premiata: grazie al suo impegno, ha vinto il 'TopLegal Corporate Counsel Award 2018' come "miglior direttore risorse umane dell'anno".

Tra i suoi fiori all'occhiello l'Ifom vanta asilo aziendale, integrazione multiculturale, welcome amministrativo e linguistico. Ma soprattutto c'è il Lab G, laboratorio che dall'Istituto di via Admello descrivono come "un caso unico nel mondo della ricerca". Una realtà studiata ad hoc per aiutare le scienziate col pancione o appena diventate madri nelle difficoltà che affrontano ogni giorno, descritte il 12 luglio dall'AdnKronos Salute raccogliendo le testimonianze di alcuni 'camici rosa' che hanno sperimentato cosa significa una gravidanza al bancone.

La missione di Blasi? "Individuare il giusto work-life balance in un centro di ricerca sul cancro di calibro internazionale, in cui oltre l'80% dei lavoratori è ricercatore, il 25% è la quota di stranieri provenienti da 25 Paesi del mondo, e la percentuale di donne è del 60%, di cui il 30% in posizione di management". Un'opera "non facile", specie se va realizzata tenendo la barra dritta verso "la priorità: la ricerca sul cancro, intorno alla quale deve ruotare tutta la macchina organizzativa". Ma per la manager i suoi ingranaggi si oliano anche "cercando di dare massima serenità ai ricercatori con famiglia, perché né il loro obiettivo scientifico né il loro impegno 'casalingo' si ostacolino a vicenda". Così il modello Ifom sembra funzionare, visto che "in Istituto abbiamo una percentuale altissima di mamme ricercatrici - osserva Blasi - che tra l'altro fanno il primo figlio in età giovane rispetto alla media nazionale".

Per andare incontro alle esigenze professionali ed esistenziali dei ricercatori, così come degli altri dipendenti, "l'Ifom ha adottato delle misure di conciliazione vita-lavoro che vengono riconosciute come estremamente innovative nell'ambito delle realtà di ricerca modernamente strutturate", sottolineano dal centro.

"Il programma di work-life balance, che ha già ottenuto nel 2011 il premio Conciliazione famiglia-lavoro della Regione Lombardia - ricordano - prende le mosse dalle esigenze specifiche di un Istituto che tipicamente recluta risorse umane giovani, età media 30 anni, e di provenienza internazionale. Le iniziative previste nel programma mirano pertanto ad agevolare l'attrazione di talenti nazionali e internazionali, offrendo loro servizi che consentano di concentrarsi sul proprio percorso di carriera con il massimo rendimento". I benefici sono diversi, evidenzia Blasi: "Di natura motivazionale, poiché l'attività professionale non configge con la vita familiare e privata, anzi ne agevola la simbiosi; economici, e mi riferisco soprattutto all'asilo nido e ai servizi burocratici che destiniamo ai ricercatori, aspetto cruciale considerato quanto sono ostiche le procedure burocratiche in Italia anche per noi italiani, figuriamoci per un giapponese o un indiano". Esistono poi i "vantaggi sociali - prosegue la manager - perché agevoliamo i nostri ricercatori provenienti dai 5 continenti a integrarsi nel contesto culturale italiano tramite apposite figure di facilitatori interculturali".

Guardando alle sue 'creature', però, l'orgoglio più grande della direttrice risorse umane dell'Ifom è il Lab G. "Di norma - osserva - nei centri di ricerca biomedica la vita di laboratorio è preclusa alle ricercatrici in stato di gravidanza, puerperio o allattamento, perché sussiste un potenziale rischio di esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici che in certe dosi e in determinati periodi della gravidanza potrebbero essere pericolosi per il bambino. Il Lab G - conclude Blasi - consente alle ricercatrici di conciliare serenamente il proseguimento della propria carriera scientifica con la maternità, offrendo loro l'opportunità di lavorare in condizioni di massima sicurezza per tutto il periodo della gravidanza e dell'allattamento".

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