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Hiv, 35 milioni di morti dal 1982

01 dicembre 2018 | 15.23
LETTURA: 7 minuti

(Fotogramma/Ipa) - FOTOGRAMMA
(Fotogramma/Ipa) - FOTOGRAMMA

La lotta all'Aids ha fatto passi enormi dal 1982, anno in cui si manifestò l'epidemia che si scoprirà essere causata dal virus dell'Hiv. "Mentre ancora trenta anni fa era sinonimo di malattia mortale oggi l'infezione da Hiv si può cronicizzare, cioè fare in modo che non risulti pericolosa per la vita dell'ospite, pur non eradicandola. Nel frattempo, però, sono morte oltre 35 milioni di persone, e nei Paesi a risorse limitate, benché si muoia di meno, grazie alle numerose battaglie per l'accesso ai farmaci, l'infezione continua a uccidere due milioni di persone ogni anno". E' il quadro della Società italiana di farmacologia (Sif) diffuso in occasione della Giornata mondiale per la lotta contro l'Aids. "La svolta a metà anni Novanta, con la messa a punto della 'triplice terapia' a base dei nuovi antiretrovirali - aggiunge la Sif - Con i farmaci disponibili ad oggi è possibile cronicizzare l'infezione, ovvero fare in modo che, pur restando nell'organismo, non risulti tuttavia letale. Il virus dell'Hiv quindi non viene eradicato, ma gli viene impedito di replicarsi e diffondersi fino a compromettere a tal punto la funzionalità del sistema immunitario da portare a morte l'organismo con infezioni e lo sviluppo di tumori".

TERAPIA ANTIRETROVIRALE - Ma come agiscono i farmaci alla base della terapia antiretrovirale che riesce a cronicizzare l'infezione? "L'attuale terapia antiretrovirale dell'infezione da Hiv (Terapia antiretrovirale altamente attiva) si conduce principalmente impedendo quattro meccanismi-chiave del virus: blocco dell'ingresso dell'Hiv nelle cellule (farmaci inibitori della fusione); blocco della capacità dell'Hiv di modificare il proprio corredo genetico da Rna in Dna, tappa necessaria al virus per replicarsi (farmaci inibitori dell’enzima trascrittasi inversa); blocco della capacità del virus di integrare il proprio Dna, così trasformato, nel Dna della cellula ospite (farmaci inibitori dell’Integrazione); blocco della maturazione delle nuove particelle virali potenzialmente infettanti (farmaci inibitori dell’enzima proteasi). La strategia della terapia antiretrovirale è quindi quella di colpire il virus non su uno ma su almeno quattro dei suoi numerosi meccanismi d'azione contemporaneamente".

NUOVE TERAPIE - Esistono nuove terapie sperimentali che potrebbero potenziare o superare la terapia antiretrovirale? "Attualmente in fase di studio abbiamo nuove strategie", spiega la Sif, illustrandone quattro: "1) Il prelievo di cellule staminali ematopoietiche, cioè le cellule che danno vita ai linfociti T, oggetto dell’attacco da parte del virus, da ingegnerizzare geneticamente per renderle capaci di generare linfociti T 'immuni' al virus e da ritrapiantare nel paziente; 2) La stimolazione e riattivazione dei virus latenti, ovvero quella parte di virus che si sono integrati nel Dna dei linfociti T del paziente e che si trovano in una situazione di 'dormienza', per poi eliminare tutte le cellule che ospitano il genoma virale, usando vaccini che insegnano alle cellule dell’immunità naturale a riconoscere i linfociti T infetti nei quali sono stati riattivati i virus (approccio 'shock-and-kill'); 3) Terapia genica, cioè la modifica dei geni dei linfociti T che in virtù di tale modifica divengono non più capaci di esprimere il recettore sul quale si attacca il virus per entrare nella cellula, o che divengono capaci di impedire l’integrazione del virus nel Dna o che impediscono che il virus possa maturare e generare una nuova progenie che diffonde l’infezione; 4) Terapia anticorpale neutralizzante, mediante impiego di anticorpi capaci di riconoscere le cellule infette e attivare le risposte immunitarie per la loro rimozione.

I FARMACI - Per quanto riguarda i farmaci, "oggi una persona sieropositiva che segue la triplice terapia deve assumere tre farmaci contenuti in un'unica compressa, da una sola somministrazione al giorno - ricordano gli esperti - Un notevole passo in avanti per la qualità di vita del paziente, rispetto agli anni Ottanta e la prima parte degli anni Novanta, quando la terapia consisteva in 28 differenti farmaci, da assumere in momenti diversi del giorno". I farmaci antiretrovirali hanno effetti collaterali? "Tutti i farmaci, per loro natura, hanno effetti collaterali, e dunque anche gli antiretrovirali - spiega la Sif - Per la stessa triplice terapia esistono sul mercato combinazioni di farmaci di diversa composizione e natura. Le più recenti combinazioni permettono ai pazienti di aderire molto meglio di un tempo al trattamento, con un migliore esito clinico, meno effetti collaterali e minori interazioni farmacologiche: la qualità di vita di un paziente sieropositivo, in terapia oggi, è sempre più simile a quella di un paziente non sieropositivo".

IL VACCINO - Per anni si è parlato di un vaccino contro l'Aids "e diverse sperimentazioni in questo senso sono in corso - avvertono i farmacologi - Alcuni approcci prevedono l'attivazione dell'immunità cellulo-mediata, ovvero una risposta da parte del sistema immunitario che non coinvolge gli anticorpi, ma stimola l'attivazione di macrofagi, cellule NK, linfociti T e altri elementi presenti nelle nostre cellule, direttamente contro il virus. Gli approcci più nuovi, e più efficaci, invece, tendono ad individuare un antigene (un 'pezzo' del virus che il nostro sistema immunitario classifica come estraneo e quindi 'nemico', e che quindi induce un attacco contro il virus stesso) che permetta di sviluppare speciali anticorpi detti anticorpi neutralizzanti, quegli anticorpi che sono alla base del funzionamento di qualsiasi vaccino e che impedirebbero l'infezione al 100%". "Non siamo ancora riusciti a realizzare un vaccino efficace al 100% - precisa la Sif - perché, fino a poco tempo fa, non riuscivamo a individuare l'antigene dell'Hiv che induce gli anticorpi neutralizzanti, gli anticorpi in grado di evocare una risposta davvero efficace. Abbiamo scoperto soltanto da poco tempo che il virus, in realtà, porta con sé queste strutture in una zona molto nascosta della sua superficie: una specie di 'sacchetta' ben 'mimetizzata'. Adesso che abbiamo individuato finalmente l'antigene giusto - concludono gli esperti - il problema è chimico-farmaceutico: dobbiamo ancora riuscire a riprodurre in laboratorio queste strutture 'antigeniche' che andranno a costituire finalmente il vaccino vero e proprio".

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