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Risolto il rebus della zebra

21 febbraio 2019 | 11.38
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Il ricercatore Tim Caro studia una zebra (foto: School of Biological Sciences, University of Bristol)
Il ricercatore Tim Caro studia una zebra (foto: School of Biological Sciences, University of Bristol)

Sulla zebra a strisce bianconere ci ha ricamato una vecchia canzone che l'avrebbe voluta a pois, e si sono arrovellati per oltre 150 anni gli scienziati di tutto il mondo. Ora un nuovo studio sembra confermare la teoria secondo cui il manto optical servirebbe a proteggere l'elegante equino selvatico dalla puntura di insetti che, nelle zone dell'Africa dove l'animale vive, rischierebbero di trasmettergli malattie potenzialmente mortali. Stando alla ricerca pubblicata su 'Plos One' da un team anglo-americano, le righe della zebra servirebbero proprio a confondere i parassiti. Funzionando come 'piste d'atterraggio' particolarmente difficili da imboccare e da percorrere per arrivare a conficcare il pungiglione.

Negli anni le teorie avanzate per dare un senso evoluzionistico alla livrea zebrata sono state diverse: accanto a esperti che già sostenevano si trattasse di una tattica difensiva selezionata per scoraggiare gli insetti, c'è stato chi riteneva fosse una strategia distraente per allontanare i predatori, e ancora chi pensava a un meccanismo di termoregolazione o a un vezzo sociale. Un 'abito' per farsi notare.

Il gruppo formato da studiosi dell'università di Bristol e dell'università della California di Davis propende per la prima ipotesi. Una convinzione che Tim Caro, Martin How e colleghi hanno maturato dopo due esperimenti sul comportamento dei tafani nei confronti di zebre e cavalli domestici.

Nel primo test, gli autori hanno osservato che almeno da lontano le strisce non scoraggiano le mosche cavalline: il tasso di insetti che gira intorno a zebre e cavalli, infatti, è lo stesso. Tuttavia, analisi video più accurate hanno permesso agli scienziati di scoprire differenze nell'approccio che i tafani adottano quando decidono di pungere i due animali: mentre sul cavallo riescono ad atterrare comodamente, quando si avvicinano a una zebra fanno fatica a rallentare e quindi o continuano a sorvolarla, oppure finiscono per sbatterle contro senza riuscire a colpirla.

Il secondo esperimento è stata la prova del nove. I ricercatori l'hanno condotto sui cavalli, 'travestendo' uno stesso animale con mantelli bianchi, neri o striati. In questo modo hanno escluso che il diverso comportamento delle mosche esaminato in precedenza su zebre e cavalli potesse dipendere da fattori differenti dal colore, magari dall'odore tipico delle due specie. Gli studiosi hanno così verificato che, rispetto a quando il cavallo era 'vestito' in tinta unita, quando era zebrato un numero significativamente minore di insetti riusciva ad atterrargli sopra.

"La ridotta capacità delle mosche cavalline di 'guadagnare' il mantello della zebra - commenta How - potrebbe essere dovuta al fatto che le strisce interrompono il sistema visivo dei tafani durante le ultime fasi del loro avvicinamento all'animale". Mentre quando sono ancora in quota le mosche non scorgono le righe a causa dei loro "occhi a bassa risoluzione, le strisce possono in qualche modo abbagliarle una volta arrivate abbastanza vicino da vederle".

Non è tutto, però. Perché se è vero che la fantasia cromatica della natura la aiuta, anche la zebra fa la sua parte. Notoriamente bizzosa (nonché mordace e impossibile da addomesticare), a differenza del placido cavallo previene l'offensiva dei tafani con fughe e movimenti nervosi della coda. Complicando ulteriormente la vita ai pochi insetti che riescono a completare l'atterraggio.

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