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Inquinamento e Covid, l'ultimo studio

25 novembre 2020 | 18.55
LETTURA: 2 minuti

Cweeks. (Yang Lei/Fotogramma, Beijing - 2009-04-21) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate - FOTOGRAMMA
Cweeks. (Yang Lei/Fotogramma, Beijing - 2009-04-21) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate - FOTOGRAMMA

La qualità dell'aria influenza la pandemia di Covid-19. E' quanto emerge da un recentissimo studio elvetico, che torna ad accendere i riflettori sulla correlazione tra l'alta concentrazione di polveri sottili, l'inquinamento e le ondate di Covid-19. Un team interdisciplinare dell'Università di Ginevra (Unige) e dello spin-off dell'Eth di Zurigo Meteodat ha studiato le possibili interazioni tra i picchi di particolato fine e la virulenza della malattia da coronavirus. I loro risultati, pubblicati su 'Earth Systems and Environment', suggeriscono che alte concentrazioni di particelle di dimensioni inferiori a 2,5 micrometri possono modulare, o addirittura amplificare, le ondate di Sars-CoV-2 e spiegare in parte il particolare profilo della pandemia.

L'aumento delle polveri sottili è generalmente favorito da inversioni di temperatura dell'aria, caratterizzate da situazioni di nebbia, o dall'arrivo di polveri sahariane. Lo studio suggerisce dunque l'adozione di misure preventive legate al controllo dell'inquinamento atmosferico per limitare futuri focolai di morbilità e mortalità dovuti a Covid-19. Gli epidemiologi concordano ampiamente sul fatto che esiste una correlazione tra concentrazioni acute e localmente elevate di particolato fine e gravità delle ondate influenzali. "Abbiamo cercato di capire se esistesse un legame di questo tipo anche con la virulenza di Covid-19", afferma Mario Rohrer, ricercatore presso l'Istituto di scienze ambientali della Facoltà di scienze dell'Unige e direttore di Meteodat.

Studi condotti in Italia e Francia suggeriscono che Sars-CoV-2 fosse già presente in Europa alla fine del 2019, mentre il forte aumento di morbilità e mortalità è stato registrato solo nella primavera del 2020 a Parigi e Londra. "Questo intervallo di tempo è sorprendente, ma suggerisce anche che qualcos'altro, oltre alla semplice interazione fra persone, può promuovere la trasmissione del virus, e in particolare la gravità dell'infezione", afferma Mario Rohrer. Il suo gruppo di ricerca è stato in grado di dimostrare che gli aumenti nei casi positivi seguivano fasi in cui i livelli di particelle fini nell'aria erano più alti.

Il team ha effettuato osservazioni nel canton Ticino, dove l'inquinamento è aumentato bruscamente alla fine di febbraio 2020. "Poco dopo, in Ticino è stato registrato un aumento esplosivo dei ricoveri ospedalieri per Covid-19. Il fatto che un grande evento di carnevale con circa 150.000 visitatori si sia svolto contemporaneamente ha probabilmente avuto un impatto aggiuntivo sulla diffusione del virus", afferma Rohrer.

Il team di ricerca svizzero ha mostrato che le concentrazioni di particolato inferiore a 2,5 micrometri provocano infiammazioni delle vie respiratorie, polmonari e cardiovascolari. "In combinazione con un'infezione virale, questi fattori infiammatori possono portare a una grave progressione della malattia". Inoltre il coronavirus può anche essere trasportato dalle particelle inquinanti. "Questo è già stato dimostrato per l'influenza e uno studio italiano ha rilevato l'Rna del coronavirus sul particolato. Tutto questo resta da dimostrare, ovviamente, ma è una possibilità probabile", conclude Rohrer.

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