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Pediatria: una Carta per i bimbi malati, onestà prima regola

06 ottobre 2015 | 18.43
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(foto: Infophoto)
(foto: Infophoto)

I pazienti sono loro, eppure spesso si ritrovano prigionieri in una bolla di vetro: dentro un silenzio surreale; fuori sussurri, mezze parole, lacrime asciugate di nascosto. Ma i bimbi che si ammalano hanno occhi aperti e orecchie tese. "Smascherano subito le bugie a fin di bene. E lasciano 'messaggi cifrati' qua e là, in un disegno, un gioco, una frase apparentemente senza senso. Spetta a noi tradurli. Ma se li teniamo all'oscuro delle loro condizioni li carichiamo di un altro compito difficile, quello di mentire ai genitori per non farli preoccupare". Parola di medico in prima linea. Per Momcilo Jankovic, responsabile del Day hospital di ematologia pediatrica dell'ospedale San Gerardo di Monza, la prima regola quando si ha davanti un paziente in miniatura è: onestà. "Mai chiudere gli occhi davanti alla sofferenza di un bambino".

Ed è con questo spirito che a Milano si sono riuniti 100 tra medici, infermieri, psicologi, operatori sanitari, genitori, esperti di management e formazione. La missione: dare vita a una Carta comportamentale che sia d'aiuto nel difficile compito di relazionarsi a un bimbo malato e alla sua famiglia. Un'iniziativa promossa dalla Fondazione Giancarlo Quarta onlus, con il contributo di Fondazione Cariplo.

Divisi in 4 gruppi gli esperti hanno lavorato ad alcuni punti che saranno elaborati in documento da una commissione ad hoc e poi fatti nuovamente circolare per permettere contributi ulteriori. A lavoro ultimato la Carta conterrà delle raccomandazioni. "L'obettivo è la pubblicazione in una rivista scientifica e poi la divulgazione", spiega Jankovic all'AdnKronos Salute. Il tutto entro l'estate prossima.

"E' un contributo alla riflessione, anche sui pro e i contro di alcuni atteggiamenti che dobbiamo avere la forza di cambiare o limitare". Da un lato, osserva Jankovic, "l'eccesso di interventismo che ci porta a bombardare un bambino e a non ascoltarlo nelle sue vere esigenze. Una deriva dell'iperprotezione nei confronti dei figli e della voglia di risolvere il più presto possibile il problema. Il fattore tempo invece conta".

Come conta, sul fronte medico e infermieristico, "saper dialogare con la famiglia. Parlare con linguaggio semplice non è una perdita di tempo. Ma anche frenare con fermezza e far rimanere nel suo ruolo il genitore, limitare i tecnicismi a cui sono abituati oggi nell'era di Internet. Per fare questo è necessario insistere sul concetto di professionalità, anche come difesa dal 'burnout': diventare confidenti, essere troppo coinvolti, spesso non aiuta". Per Jankovic, poi, bisogna "rendere partecipe il bambino con i dovuti modi e con tutta la positività necessaria, anche prevedendo degli momenti senza il genitore che sarà sempre e comunque informato. Accompagnare tutta la famiglia nel percorso di cura, ascoltare e condividere. La comunicazione è cruciale, come il rispetto nei confronti della persona, anche se è un minore".

Sono piccole rivoluzioni 'in corsia' a fare la differenza. Un esempio? "Le rianimazioni aperte, che permettono al genitore di partecipare attivamente e di assistere il bambino, senza orari fissi. Anche un neonato ha la sua percezione, il contatto pelle a pelle è importante. Questa visione non è ancora accettata dappertutto negli ospedali e va consolidata".

Serve formazione per chi si affaccia al mestiere. Jankovic sogna nuove generazioni di medici che "capiscano la differenza tra speranza, che non va negata, e illusione". Un genitore si dispera di fronte alla malattia del figlio. "Ma nella rabbia si disperdono forze preziose che vanno invece canalizzate nella lotta. In queste circostanze vengono a galla energie che non sappiamo di avere". Jankovic lo ha sperimentato in prima persona, combattendo contro un tumore che l'ha colpito. "Bisogna aiutare la famiglia a creare una condizione di forza che consenta di affrontare un percorso ottimale guardando alla meta, che sarà la guarigione nell'80-90% dei casi, ma deve essere la qualità della vita nel 100%".

La solidarietà umana, l'azione dei volontari, tutto va pilotato in questa direzione. "Per non sentirci inutili e riduttivi e colmare il senso di impotenza quando le cose non vanno bene. Sia i genitori che il bambino malato devono crederci". I più piccoli, assicura Jankovic, "hanno un'intelligenza istintiva nei primi anni di vita, vivono il presente con energia, non dimenticano la malattia ma passano oltre. Davanti a un foglio bianco con un puntino nero, loro vedono il bianco".

I medici hanno potuto ascoltare anche l'appello dei baby-pazienti: "Parlateci", suggerisce una ragazza che ha vinto la leucemia. Quando si guarisce, assicura Jankovic, "si guarisce bene e con una forza morale superiore ai coetanei".

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