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Cresciuti sotto le ali della Colomba, storie dei figli del Policlinico di Milano

30 maggio 2016 | 12.33
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Le balie in un dipinto del XVII Secolo sull'attività dell'ospedale Maggiore (foto Policlinico di Milano)
Le balie in un dipinto del XVII Secolo sull'attività dell'ospedale Maggiore (foto Policlinico di Milano)

Li lasciavano nella ruota degli esposti. Un 'segnale' come corredino. E i bimbi crescevano. Una moneta, una carta da gioco, un'immaginetta sacra tagliate a metà erano gli unici fili che li tenevano legati alla famiglia d'origine quando finivano 'sotto le ali della Colomba'. Il simbolo dell'ospedale Maggiore, oggi Policlinico di Milano. Nel capoluogo lombardo li chiamavano i 'figli dell'Ospitale', poi 'colombitt'. Erano i neonati esposti e gli "altri putti privi di sussidio" - come li definiva un regolamento interno - che dalla sua fondazione, nel 1456, l'ospedale Maggiore accolse e assistette. Talmente tanti che oggi Colombo, il cognome con cui si andava avanti a registrarli da fine '700 al 1825, è uno dei più diffusi in Lombardia. Traccia minima di un fenomeno che fu rilevante e porta l'ospedale, nella fase più intensa, sull'orlo della rovina.

Oggi queste storie di fragilità familiare da un lato e di impegno solidaristico dall'altro rivivono grazie ai documenti d'archivio, alle immagini d'epoca e ai messaggi lasciati dai genitori. E sono protagoniste di un incontro del ciclo 'Storia e Storie della Ca' Granda' (30 maggio, ore 21 nella Chiesa dell'Annunciata in via Sforza), promosso per ricordare ai milanesi il patrimonio culturale che lega da secoli l'ospedale alla metropoli. Attraverso uno dei tanti 'tesoretti storici' legati al Policlinico e arrivati fino ai giorni nostri, gli esperti hanno potuto ricostruire ritratti di 'famiglie allargate' d'altri tempi.

"Il passato ci insegna che parlare di famiglia tradizionale come se l'unico modello fosse quella biologica non sta in piedi. Allora non era così", spiega all'AdnKronos Salute la storica e archivista Flores Reggiani, relatrice dell'incontro. Molti bambini crescevano lontani dai genitori che li avevano messi al mondo. L'ospedale Maggiore, che era il primo latifondista della Lombardia grazie ai lasciti dei benefattori, arriva persino a ipotecare delle terre per mantenere i colombini e le colombine, che diventavano sempre di più. Da fine '700 - quando il brefotrofio venne separato fisicamente dall'ospedale e collocato dall'imperatrice Maria Teresa d'Asburgo in un ex monastero espropriato che divenne la Pia casa degli esposti e delle partorienti in Santa Caterina alla ruota - agli anni '60 dell'800, i nuovi ingressi salirono da 1.000-2 mila a più di 5 mila l'anno. In alcuni momenti l'ospedale, che manteneva questi bimbi per lunghi periodi (anche se la mortalità infantile allora era alta e il 30-40%, anche il 50% in anni di crisi, veniva stroncato in tenera età), arrivava ad averne in carico fino a 10 mila. Con una maxi spesa sulle spalle.

I bambini venivano immediatamente affidati alle balie nelle campagne e l'ospedale - che aveva concluso fosse vantaggioso 'esternalizzare' il servizio - pagava loro un salario, più tutto l'abbigliamento e il corredo fino a 15 anni. Le quote diminuivano quando i bambini diventavano forza lavoro per le famiglie, mentre erano più alte quando le balie li dovevano allattare. "Allora il latte materno era praticamente un bene da vendere. E c'era tanta concorrenza, le balie erano molto richieste perché nell'800 le donne spesso lavoravano e non esistevano gli asili", dice Reggiani. Visto che c'era la possibilità di avere il servizio gratis - a carico dell'ospedale - di frequente le famiglie in difficoltà sceglievano di mettere i figli nella ruota e questi venivano mandati a balia.

L'intenzione era poi di riprenderseli non appena possibile. Si presentavano muniti del 'controsegnale' (l'altra metà dell'oggetto che avevano lasciato ai figli e che, all'ingresso in brefotrofio, veniva accuratamente conservato in archivio) talvolta a distanza di anni. E i bambini venivano richiamati dalle campagne, perché il "diritto imprescrittibile del sangue non poteva essere infranto". Poteva essere un dramma per i più grandi che nel frattempo si erano integrati nelle famiglie affidatarie e a volte - cresciuti nelle lontane campagne di Valtellina, Bergamo, Como, Piacenza o Novara - parlavano ormai dialetti molto diversi da quelli dei genitori.

"Milano è un caso particolare in Italia - spiega l'esperta - Nelle ruote degli esposti finivano sì i figli illegittimi, ma anche quelli legittimi di donne rimaste vedove o di famiglie impossibilitate a prendersene cura". Nel brefotrofio c'era anche un ufficio accettazione al quale si potevano lasciare i bimbi di genitori sposati in condizioni di povertà e i piccoli senza mamma o le cui madri non avevano latte. "Da questo canale passavano circa un quarto degli ingressi totali. Ma il fatto che venisse offerto un baliatico limitato a uno o 2 anni non piaceva ai genitori milanesi perché non potevano decidere liberamente quando venire a riprendersi gli infanti", sottolinea Reggiani. Per questo ricorrevano alla ruota, modalità meno vincolante.

Non erano "persone ai margini della società - prosegue la storica - ma membri di quello che era chiamato 'l'ottimo popolo operaio', lavoratori poveri di città. Tante donne lavoravano a domicilio come domestiche, cucitrici e così via". Il fenomeno sollevò un dibattito forte per via delle spese onerose che gravavano sui conti dell'ospedale e non poche polemiche di cui si trova traccia nella pubblicistica dell'epoca: nell'800 - scrive un contemporaneo - i genitori utilizzano il brefotrofio come "pubblico stabilimento di baliatico gratuito".

Più della metà dei bimbi dunque entrava in forma anonima, come dimostra il nutrito numero di oggetti 'segnale' censiti dall'esperta: "Coccarde tricolore, piccoli monili, rosari e coroncine, tessere del lotto e volantini, ma soprattutto immagini sacre e biglietti su cui si scrivevano anche informazioni utili sul bimbo, dal nome alla data di battesimo, fino alle condizioni di salute. Oggetti che volevano anche essere un messaggio di protezione".

Il bilancio della Pia casa degli esposti era separato: l'ospedale pagava il debito, aspettandosi un ripiano dal governo di Vienna. Dopo l'Unità d'Italia l'ente competente diventa la Provincia di Milano e le cose cambiano. "Per legge deve sostenere le spese del brefotrofio. Decide di non farsi carico unicamente delle passività e di prenderne la gestione. La Provincia per si rifiuta di praticare un'assistenza 'cieca'. L'idea è di riservare il brefotrofio solo ai figli illegittimi. E la ruota di Milano è la seconda d'Italia a chiudere, nel 1868", racconta Reggiani.

Dall'altro lato, a partire dal 1780, c'era anche il parto in anonimato (prima le donne dovevano dichiarare il nome del padre del bebè, perché l'ospedale potesse esigere da lui un compenso per l'allevamento o per l'assistenza ostetrica). "Capitava che alcune madri vi facessero ricorso, perché partorivano in ospedale costrette da problemi di salute, o deformazioni scheletriche, molto frequenti a Milano più che altrove, anche per via dell'alimentazione carente", ricostruisce l'esperta.

Il fenomeno dell'infanzia mandata a balia e assistita dall'ospedale Maggiore "è importante e poco noto". Ma ne restano tracce anche nel mondo dell'arte. Un dipinto del XVII secolo in cui si ritrae l'attività dell'ospedale Maggiore, vede le balie in primo piano, impegnate a fasciare i bimbi. "C'è un popolano con un neonato da 'esporre' - elenca Reggiani - una mamma con i suoi piccoli presumibilmente intenta a chiedere l'elemosina per il baliatico". Storie di ordinaria quotidianità nella Milano del passato.

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