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Sanità: vivere con Crohn e colite fra spese per esami e lavoro a rischio

08 giugno 2016 | 14.42
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Negli anni in cui la crisi ha sferzato i suoi colpi più duri, fra gli italiani che hanno pagato un caro prezzo c'erano anche loro: i pazienti, spesso giovani, affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici). Stretti in una morsa, tra il lavoro in bilico costante e il peso di doversi pagare di tasca propria diverse prestazioni sanitarie per la gestione della patologia e delle terapie.

"Molti hanno perso il posto. In generale sono stati una delle fasce più tartassate, per la necessità costante che hanno di assentarsi per motivi di salute", racconta Fernando Rizzello, ricercatore del Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche dell'università di Bologna, in occasione di un incontro promosso da Takeda a Milano.

E il lavoro resta ancora oggi uno dei crucci più grandi per chi convive con malattia di Crohn e colite ulcerosa. "Secondo un'recente indagine europea che ha coinvolto mille pazienti italiani, più della metà è sotto pressione e stressato dal dover chiedere giorni di assenza, 2 su 10 mancano dall'ufficio per più di 25 giorni l'anno, il 50% dei quali per le visite mediche. Il fatto stesso di dover parlare di sintomi che non sono facili da raccontare fa chiudere il paziente in se stesso e lo fa vivere nell'ombra", segnala Salvo Leone, direttore generale di Amici Onlus, l'associazione nazionale per le malattie infiammatorie croniche dell'intestino. "In Italia la legislazione non tutela, anzi in alcuni casi penalizza".

"Il lavoratore autonomo è abbandonato a se stesso", aggiunge Rizzello. "Nel pubblico probabilmente va un po' meglio - dice Leone - In ambito privato il lavoratore che subisce il disagio di dover comunicare al proprio titolare la necessità di assenze, comincia a toccare i giorni di malattia che sono in tutto 15 e poi passa alle ferie, incidendo anche sul monte vacanze della famiglia".

In aumento bimbi avviati a un futuro di malati cronici

Il carattere familiare delle Mici ritorna sempre, anche in questi aspetti. "Se il malato è il portatore di salario in famiglia, immaginate cosa significa dover affrontare, come spesso avviene, problematiche come la riduzione di stipendio o il cambio di mansione - osserva Leone - Altra fase critica è l'inizio di una carriera lavorativa: quando la diagnosi viene dichiarata, spesso l'azienda si riserva il diritto di non assumere una persona con queste patologie o di inserirla nelle categorie protette. Capita che chi chiama l'associazione ci chieda cosa deve fare in questi casi. Il problema esiste soprattutto per alcuni ruoli o categorie, come le forze armate".

Ad aggiungere un ulteriore carico è "il problema di doversi pagare le prestazioni sanitarie che l'esenzione ticket per patologia purtroppo non include", spiega ancora Leone. Un esempio concreto lo porta Rizzello: "Un paziente che inizia una terapia con un farmaco biologico ha per legge la necessità di fare alcuni esami di screening che però non sono coperti dall'esenzione. E quindi già solo per avviare la cura dovrà sborsare fra 150 e 200 euro. Poi ci sono tutti gli esami per monitorare la terapia, sempre a carico del paziente. In pratica deve prevedere in media un investimento di 2-3 mila euro l'anno solo per gestire la propria malattia, senza che ci sia una tutela da parte delle istituzioni. E non stiamo contando le giornate di lavoro perse, visto che non abbiamo dati dall'Inps".

Nei prossimi anni il problema riguarderà un numero sempre più alto di italiani, se si considera che "i pazienti stanno aumentando soprattutto nella fascia d'età pediatrica, fra i 10 e i 18 anni, quella che mostra l'incidenza più alta nei Paesi europei dotati di un Registro. Sono persone che si porteranno dietro la malattia per tutta la vita e richiederanno un impegno di risorse altissimo", avverte Rizzello.

Gli esperti non hanno dubbi: "Bisogna fare qualcosa". E soprattutto lavorare sulla diagnosi precoce. "Se la rettocolite ulcerosa viene stanata più facilmente per via del sangue nelle feci, il paziente con malattia di Crohn aspetta di più, e prima di dare un nome al suo disagio rischia di convivere troppo a lungo con un intestino infiammato, con più danni e quindi con più costi per il Ssn", fa notare Leone.

L'esperto, nei nuovi Lea non c'è niente per le Mici

Dell'assenza di dati certi su queste malattie "si è discusso nell'ambito del Piano per la cronicità con il ministero della Salute che ha auspicato studi di incidenza e prevalenza e di farmacoeconomia per decidere come allocare le risorse per aiutare i pazienti", spiega Rizzello. "L'Italian Group for Inflammatory Bowel Diseases (Ig-Ibd) ha aperto diversi studi proprio per misurare i vari aspetti delle Mici e ha iniziato una collaborazione con l'Istituto superiore di sanità per sondare la fattibilità di uno studio di popolazione che ci dia un'idea dell'incidenza e della prevalenza. Ma tutto questo viene fatto con fondi propri e senza aiuti dall'esterno. Non prima di tre anni, comunque, si potrà avere un quadro più preciso".

Per l'esperto, "bisognerebbe prevedere per legge un Registro dedicato a queste malattie. Avendolo, diventa più facile seguire prospetticamente i pazienti negli accessi ospedalieri, negli interventi chirurgici, nell'uso dei farmaci. E per sgravarli dai costi bisognerebbe procedere con un aggiornamento dei Lea che risalgono agli anni '90". In quello già predisposto non c'è niente per le Mici. "Nel 2014, quando è iniziata la collaborazione del nostro gruppo con il ministero della Salute, abbiamo provato ad affrontare l'argomento, ma ci è stato risposto che rivedere i Lea alla luce delle nuove tecnologie e di quello che oggi sappiamo di nuovo nella gestione dei pazienti avrebbe comportato un mancato introito da ticket troppo alto che la Corte dei Conti non avrebbe accettato", racconta Rizzello.

"Speriamo - conclude - di poterci sedere di nuovo intorno a un tavolo e di riuscire ad ottenere finalmente l'aggiornamento dei Lea. Se non c'è l'impatto emotivo che può avere una malattia con un alto tasso di mortalità, è anche vero che la qualità di una vita con le Mici è pessima e c'è un alto grado di invalidità. Questa fascia di pazienti deve essere considerata e attenzionata dal ministero. E va spinta anche la ricerca non solo per nuove cure, ma per capire bene come investire le risorse per gestire i pazienti".

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