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Referendum e salute, come cambia la sanità con la riforma

21 novembre 2016 | 12.30
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(Fotogramma)
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"Un quadro più chiaro e un servizio sanitario più efficiente". La scelta tra Sì e No, nel referendum del 4 dicembre, è destinata ad avere un impatto anche sul futuro della sanità. A spiegare quali sarebbero le conseguenze del Sì, nelle ultime settimane, è stato in particolare il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, in prima linea per il varo della riforma costituzionale. "Bisogna votare sì, ne sono fortemente convinta, per la prima parte della Costituzione dove finalmente togliamo il bicameralismo perfetto, e per la seconda parte che toglie la materia concorrente alle Regioni e mette mano al titolo quinto: per me che sono ministro della Salute forse la più importante", ha detto e ripetuto.

"Se cambia il titolo quinto - ha aggiunto il ministro - non ci sarà più differenza da Regione a Regione, perché i piani diagnostici e terapeutici sono normativa generale di competenza dello Stato e le regioni dovranno applicare le disposizioni che il ministero farà con le società scientifiche, in modo concordato". Un correttivo per chiarire le competenze che, secondo il ministro, darà inoltre "un accesso all'articolo 32 della Costituzione uguale in tutto il paese o quantomeno molto più uguale rispetto a come vengono oggi le cose".

"Quando entra in gioco il diritto alla salute, lo Stato deve poter intervenire perché chi ha pagato il conto salatissimo dell'incapacità di organizzare non sono stati gli assessori ma i cittadini, con tasse e disservizi", è la convinzione alla base della riforma.

"Noi da 17 anni viviamo con un sistema in cui tutte le funzioni organizzative e di programmazione sono date in mano alle Regioni, ma anche altre che rimarrebbero in capo allo Stato sono in realtà fatte in modo concorrente. La concorrenza fra le funzioni statali e regionali ha provocato in questi anni una serie di disservizi molto importanti che alla fine hanno pagato i cittadini. Abbiamo visto l'esito: metà Italia è sotto commissariamento", ha detto ripetutamente il ministro.

Con il varo della riforma "si cambia, ma non si torna indietro, lo Stato non riaccentra tutte le sue funzioni. Rimane un sistema regionale ma su binari molto chiari, per cui le Regioni avranno in modo esclusivo la funzione organizzativa e di programmazione, senza necessità di concerto o di intesa con lo Stato. E lo Stato avrà in modo esclusivo le disposizioni generali in tema di salute, bene comune e sicurezza alimentare". In termini pratici, "questo significa per esempio che le linee guida per i piani diagnostici terapeutici le dà lo Stato e le Regioni le devono applicare secondo i loro modelli organizzativi, ma senza tradire quelle che sono le linee generali".

"Se una Regione non garantisce il diritto alla salute dei propri cittadini, non garantisce l'accesso alle prestazioni, e i Lea, lo Stato potrà intervenire esercitando con la clausola di supremazia un potere sostitutivo, al fine di garantire quindi che i cittadini abbiano la stessa qualità dei servizi". Le Regioni particolarmente virtuose "che hanno non solo i conti in regola ma anche i servizi, potranno chiedere allo Stato di esercitare competenze che non sono prettamente definite dalla Costituzione come proprie".

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