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8 marzo

Ecco chi aiuta le donne vittime di violenza

07 marzo 2018 | 16.49
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Sono quasi 3.500 le vittime di maltrattamenti, abusi, stalking che trovano ogni anno rifugio e assistenza negli ospedali toscani dove, "dal 2009 esiste un percorso dedicato, il 'codice rosa', per il quale abbiamo lavorato dopo esserci resi conto, appunto 9 anni fa, che i dati dei centri anti-violenza, altissimi, non corrispondevano a quelli delle pazienti che passavano per i pronto soccorso: centinaia di casi di violenza, contro un paio di donne, solamente, che si erano rivolte ai nostri ospedali. Abbiamo quindi deciso di agire per rendere i pronto soccorso un punto di assistenza", racconta all'Adnkronos Salute Vittoria Doretti, responsabile rete regionale Codice rosa della Toscana.

IL MODELLO TOSCANA - Il lavoro a favore delle vittime di violenza è partito dunque dall'osservazione di una grande discrepanza: quella fra "le centinaia di donne che giungevano nei nostri centri anti-violenza - dice Doretti - e le pochissime che si rivolgevano agli ospedali. O meglio, che venivano individuate e assistite come vittime di violenza, perché è normale che chi subisce abusi prima o poi passi da un ospedale. A fine 2009 a Grosseto per prima abbiamo organizzato un corso per tutti gli operatori, ci siamo posti come un'unica squadra di 40 persone fra sanitari, addetti dei centri antiviolenza, della procura". E "già nel corso del 2010 abbiamo visto i numeri salire: quasi 310 casi di 'codice rosa' trattati nel pronto soccorso. Devo dire che a fare la differenza è stata la 'stanza' dedicata, come anche la sensibilità degli infermieri nel 'captare' le vittime di violenza, o ancora il modo di porre le domande per far sì che la donna non debba ripetere più volte le stesse, dolorose, risposte. Il 'codice rosa' ha la stessa priorità di un infarto: appena viene individuato, salta il triage e viene preso in carico in una stanza non individuabile esternamente. Ogni passo è condiviso con la donna, dalla visita alla raccolta delle prove, fino al report fotografico. E la vittima non si sposta più di lì". I numeri sono poi aumentati di anno in anno, fino alle 3.451 vittime assistite nel 2016, di cui 2938 adulte e 513 minori. Questo successo ha portato l'assessorato a volere dei percorsi dedicati in tutta la Toscana, dai piccoli ai grandi centri: una rete che esiste ormai dal 2014.

La Toscana è oggi il modello a cui guardare per mettere in atto le linee di indirizzo recentemente pubblicate, e Doretti confida che questa sia un'area in cui l'Italia risponderà al meglio alle esigenze delle donne: "Ho girato tanto il Paese, e tanti ospedali hanno procedure di eccellenza. Ma credo che l'idea del codice rosa non sia di avere un ospedale con cose meravigliose, ma l'elemento principale è che si abbiano le stesse procedure ovunque: le donne vengono violentate nelle campagne più sperdute come nelle piazze cittadine, ed è stata una rivoluzione sapere che in ogni ospedale c'è un centro sanitario che può assisterle. C'è tanta strada da fare, ma almeno sappiamo che c'è solo un modo per farlo".

L'ASSISTENZA AI 'PENTITI' - C'è anche da dire che alcuni uomini si pentono: vogliono intraprendere un percorso di cambiamento e assumersi la responsabilità del loro comportamento, di maltrattamento fisico, o psicologico, economico, sessuale, di stalking. Per aiutarli in Italia sono attivi "circa 20 centri di assistenza specializzata, fra cui 5 Centri uomini maltrattanti (Cam)", da Nord a Sud, dove lavorano equipe multidisciplinari di psicologi, psicoterapeuti, psichiatri ed educatori. "I centri rispondono a un centralino telefonico, dove c'è un primo contatto con il paziente, che poi viene seguito individualmente e in seguito con terapia di gruppo", spiega all'Adnkronos Salute Andrea Bernetti, responsabile del Cam di Roma.

Il Centro d'ascolto uomini maltrattanti è un servizio pubblico nato nel 2009 a Firenze, per aiutare gli uomini che vogliono smettere di usare violenza e controllo nei confronti dei loro familiari e partner. L'iniziativa offre colloqui di orientamento e la possibilità di partecipare a gruppi di ascolto per uomini. I gruppi sono condotti da due operatori, un uomo e una donna, che lavorano insieme ai partecipanti su vari aspetti legati al cambiamento del comportamento maltrattante. Sul territorio italiano, però, "è una realtà ancora molto variegata - evidenzia Bernetti - fino a un paio di anni fa i centri erano 13, quindi comunque in aumento, ma soprattutto al Nord. Di progetti 'Cam' ce ne sono 5 in Italia (Firenze, Roma, Ferrara, Cremona, Sardegna), poi ci sono altre realtà come associazioni che raggruppano altre iniziative. Noi funzioniamo con un primo accesso telefonico volontario, oppure se sono soggetti già segnalati o ospitati in un penitenziario c'è l'avvio diretto del percorso individuale, in seguito si passa al percorso di gruppo, che è lo strumento principale".

Il Centro lavora "in una visione soprattutto preventiva: gli uomini che si rendono conto di avere un problema ci contattano per evitare che sfoci in violenza, o persone che hanno già avuto episodi in passato ci vengono segnalate dalle istituzioni. Oggi abbiamo 20 pazienti in carico e in un anno e mezzo ne abbiamo trattati circa 65. Il percorso dura un anno e abbiamo verificato che durante questo arco di tempo il rischio di recidiva è veramente bassissimo. Dopo, certo, servirebbe un follow up più efficace, ed è un progetto su cui stiamo lavorando".

IL CASO MILANO - Anche oggi, alla vigilia dell'8 marzo, la ginecologa Alessandra Kustermann che a Milano aiuta le donne (e non solo) vittime di abusi non si fa troppe illusioni: "Dal 1 gennaio i casi che abbiamo assistito al Soccorso violenza sessuale e domestica sono 172, ma domani saranno già saliti a 174, 175 o chissà", spiega all'AdnKronos Salute la fondatrice del Svsed della clinica Mangiagalli, Fondazione Irccs Policlinico del capoluogo lombardo . Perché considerando i numeri registrati da inizio anno, "78 di violenza sessuale e 94 di violenza domestica", comunque "stabili negli ultimi 3 anni", si può calcolare che le richieste di aiuto crescano in media al ritmo di 2-3 al giorno.

Si va "dalle ecchimosi plurime", lividi in ogni parte del corpo, "alle fratture del setto nasale, dell'osso zigomatico, di arti o costole, fino a bruciature, ferite di arma da taglio, tentativi di strangolamento e tanto altro ancora. In certi casi, pochi, la violenza subita è 'solo' psicologica", mentre "in molti gli abusi sfociano in attacchi di panico". Evocano immagini crude i racconti raccolti dalla trincea del Svsed. "Per le violenze sessuali siamo centro di riferimento su Milano e provincia, quindi tutte quante arrivano qui", ricorda Kustermann che traccia un bilancio del fenomeno. "L'anno scorso - riferisce - i casi finiti alla nostra attenzione sono stati complessivamente 1.032. Nell'ultimo triennio, da un anno all'altro i dati sono più o meno gli stessi e rispetto a prima qualcosa è cambiato: fino al 2015 viaggiavamo intorno ai 900 assistiti all'anno, segno che è aumentato il numero di donne che riescono a chiedere aiuto".

"Questo non significa però - precisa la ginecologa - che sia cresciuta anche la volontà di denunciare: l'anno scorso lo ha fatto il 47% delle donne, tanto rispetto alla media nazionale che è del 10% circa, ma ancora non abbastanza". L'esperta esorta a uscire allo scoperto, ad armarsi di coraggio e pazienza, a intraprendere e percorrere fino in fondo l'iter legale successivo alla denuncia: "Chi lo fa ottiene giustizia nel 90% dei casi e credo che questo vada letto come un messaggio di speranza. Essere seguite bene, come accade a chi si affida a noi e ai legali dell'associazione di volontariato che ci affianca offrendo assistenza gratuita, può fare la differenza". Nel 2017 hanno scelto questa strada in 145: 111 le procedure penali, 34 le civili. Tra i punti di forza c'è il fatto di "poter contare su una documentazione sanitaria seria, completa e puntuale, anche sugli attacchi di panico molto frequenti nelle vittime di violenza".

Qual è l'identikit di chi si rivolge al Svsed di Milano? "Nella maggior parte dei casi si tratta di donne - precisa Kustermann - mentre gli uomini l'anno scorso sono stati 77", ma questa cifra comprende anche i minori: in totale, fra maschi e femmine, gli under 18 assistiti nel 2017 sono stati "244, di cui 136 al di sotto dei 13 anni e 108 nella fascia 14-17 anni".

"Un po' più della metà delle donne che arrivano da noi sono italiane, circa il 54%", analizza la ginecologa. Sempre guardando ai dati dell'anno scorso, "le violenze domestiche sono state 566 e quelle sessuali 414, di cui 40 violenze di gruppo. Sopra ai 18 anni i casi sono stati 180 fra i 18 e 24 anni, 237 dai 25 ai 34, 211 dai 35 ai 44, 104 dai 45 ai 54, 56 dopo i 55 anni". Ancora: "La maggior parte arrivava da Milano (695 casi) e provincia (185), mentre 104 provenivano da altre province lombarde e 48 da altre regioni. Poco più del 50% dei casi (520) sono giunti qui dal nostro Pronto soccorso o da quello di altri ospedali; 61 si sono presentati spontaneamente, 220 accompagnati dalle forze dell'ordine, 63 da parenti o amiche, 12 grazie alle associazioni, 27 tramite la Rete dei centri antiviolenza, 68 attraverso servizi pubblici come consultori, servizi sociali, Neuropsichiatrie infantili, 55 per altre vie. E in 6 - rileva Kustermann - sono stati mandate dal medico di famiglia".

Poiché l'orco agisce in famiglia, almeno nelle violenze domestiche "la maggioranza degli aggressori sono i mariti/compagni. Mentre nelle violenze sessuali prevalgono aggressori sconosciuti o conoscenti occasionali". Il consiglio dell'esperta è quello di "rivolgersi a un centro ospedaliero, soprattutto per assicurarsi che le lesioni subite vengano ben documentate", ribadisce. "Con la giusta assistenza avere giustizia si può - ripete Kustermann - in un numero di casi molto superiore a quando si percorrono altre vie, caso in cui tutto finisce spesso con l'archiviazione".

A SCUOLA DI GENTILEZZA - La strada verso un mondo libero dalla violenza di genere è pacifica: "Bisogna fare cultura e bisogna farla già tra i banchi di scuola. Se non si comincia da lì, vincere è impossibile", ammonisce Kustermann che propone la sua 'ricetta' per un futuro di rispetto e diritti riconosciuti. "Ai bambini - dice - dobbiamo far capire che un mondo dove il più forte prevale sul più debole è un mondo ingiusto. Dobbiamo trasmettere la capacità di tollerare la frustrazione, di controllare la rabbia. Dobbiamo insegnare la gentilezza". Un sentimento positivo e forte, una leva potente e rivoluzionaria.

"Oggi - riflette Kustermann - sul fenomeno della violenza contro le donne manca ancora molto una sensibilizzazione di tutti, dei cittadini in generale, ma anche delle donne stesse. Il grosso lavoro che ci aspetta è convincere i più piccoli a considerare inaccettabile il linguaggio della violenza", verso i pari quando si è bambini, verso il partner quando si cresce e si rischiano 'amori malati'. E in questo percorso è innanzitutto "necessario che i figli smettano di dover assistere alla violenza subita dalle loro madri".

Quanto agli aggressori, gli uomini che odiano le donne "vanno trattati. I maltrattanti - sottolinea la ginecologa - devono essere seguiti da un punto di vista criminologico" anche attraverso un lavoro profondo sulla psiche, "perché non debbano più ripetere il reato una volta usciti dal carcere". La parola d'ordine, insiste Kustermann, è "prevenzione: cambiare l'approccio alla violenza, fare cultura".

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