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Sanita': Bianco, si deve liberare da dolore quando non si puo' guarire

24 maggio 2014 | 16.45
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Roma, 24 mag. (Adnkronos Salute) - "Quando guarire non si può, si deve liberare dal dolore e sollevare dalla sofferenza". Lo sottolinea il presidente della Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo), Amedeo Bianco, a margine del convegno "Le cure palliative tra etica e bisogni", appena conclusosi a Loreto, appuntamento organizzato in occasione della Giornata del sollievo. L'incontro, ha detto Bianco "assume un significato ancora più profondo alla luce del nuovo Codice di deontologia medica, appena approvato, che in modo deciso colloca la cura del dolore e le terapie palliative all'interno di un'alleanza di cura, che diventa luogo paradigmatico dell'incontro di due vissuti, due culture, due percezioni, due modi di sentire".

Ed è in forza di questo, aggiunge il presidente dei medici italiani, "che nel nostro Codice le cure palliative e la desistenza terapeutica non sono considerate mai eutanasia, pur essendo ben consapevoli che determinati trattamenti possono implicare un trade off, una scelta di compromesso tra rischi e benefici, potendo accelerare la fine. La logica è quella di privilegiare sempre l'effetto positivo sulla qualità della vita dell'individuo. È per questo che l'articolo 16, sugli 'Interventi terapeutici non proporzionati', afferma che 'il controllo efficace del dolore si configura, in ogni condizione clinica, come trattamento appropriato e proporzionato'. Ed è per questo che, con forza ancor maggiore, l'articolo 39 così sancisce: 'il medico non abbandona il paziente con prognosi infausta... Ma continua ad assisterlo e, se in condizioni terminali, impronta la propria opera alla seduzione del dolore e al sollievo dalle sofferenze, tutelando la volontà, la dignità e la qualità della vita'".

Infine, "è per questo - ha precisato ancora Bianco - che, dal Codice, abbiamo voluto far sparire il termine 'eutanasia', riferito alle pratiche atte a provocare la morte. Vorremmo affermare che la 'buona morte' è comunque nei doveri del medico laddove accompagna il paziente che non può guarire, dandogli sollievo, curandone il dolore, prendendosene cura. Lo dovevamo ai quelle decine di migliaia di operatori, non solo medici, che ogni giorno curano la morte. Lo dovevamo agli ancor più numerosi pazienti ai quali è negata la speranza di una guarigione ma ai quali non vogliamo sottrarre l'opportunità di una vita dignitosa e rispettosa dei loro valori personali, liberi dal dolore e sollevati nella sofferenza".

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