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Sanremo e le polemiche per il servizio pubblico

06 febbraio 2023 | 11.01
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Il 'Promemoria' di Mauro Masi per Adnkronos

Sanremo e le polemiche per il servizio pubblico

Servizio pubblico. Nella settimana di San Remo, ritornano - come è consolidata tradizione - polemiche di varia natura più o meno tutte collegate al concetto di “servizio pubblico radiotelevisivo”. Questo è infatti il tema nodale che lega gli italiani alla RAI ed è un concetto tecnicamente e sostanzialmente difficile da inquadrare, ancor più oggi nel nostro mondo internettizzato che tende a metterne in discussione la stessa esistenza. Bisogna infatti chiedersi “a monte” se l’attuale contesto caratterizzato dall’esplosione della multicanalità e delle multipiattaforme, giustifichi ancora la necessità di un “servizio pubblico”. In altre parole, la domanda per programmi che possano essere definiti di servizio pubblico può comunque essere soddisfatta dall’offerta autonoma di mercato attraverso centinaia di canali televisivi e attraverso l’interattività permessa da Internet senza bisogno di una (o più) emittenti ad hoc? Ad esempio l’esistenza di canali tematici facilmente accessibili per il teatro, lo sport, la scuola, la cucina, il meteo etc.. può rendere superflua la necessità di un palinsesto specifico di un broadcaster “pubblico”? La risposta non è facile anche perché presuppone una definizione compiuta della nozione di servizio pubblico radiotelevisivo che invece, come si è detto, è dal punto di vista giuridico, tra le più complesse e tormentate essendo variabile di epoca in epoca, da Paese a Paese. Se un filo rosso si può trovare tra i diversi concetti e le diverse esperienze internazionali è che l’intervento dello Stato nel settore televisivo (come attore e non come mero regolatore) si giustifica con l’importanza attribuita al mezzo, alla sua influenza sui comportamenti politici e sociali nonché con l’opportunità di tutelare “le radici e le identità nazionali”. In questo senso mi sembra che le ragioni del servizio pubblico radiotelevisivo nel nostro Paese continuino pienamente a sussistere anche se è lecito interrogarsi, guardando al futuro, se lo strumento usato sinora (un solo broadcaster specializzato, finanziato in parte dal canone in parte dal mercato) sia quello più efficiente e/o più utile. A livello internazionale le soluzioni adottate sono essenzialmente tre: Paesi in cui esiste una sola TV pubblica o con funzioni pubbliche (oltre l’Italia, l’Austria, la Svezia, la Finlandia, la Svizzera, il Portogallo, la Francia, il Regno Unito - seppur quest’ultimo con qualche distinguo); Paesi dove esistono più emittenti pubbliche (Belgio, Danimarca, Germania, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Australia, USA); un servizio pubblico focalizzato sui programmi e non sull’emittente. E’ questo il caso della Nuova Zelanda dove pur esiste una TV di Stato ma che si finanzia in toto sul mercato con la pubblicità mentre il canone viene raccolto da strutture pubbliche che poi lo distribuiscono a chiunque faccia programmi di “servizio pubblico”.

Bill Gates e gli economisti. In una lunga intervista del 2019 rilasciata da Bill Gates al magazine americano Quartz (ma rilanciata da molti siti in questi giorni in concomitanza con la notizia che il “pensionato” Gates è diventato uno dei primi proprietari terrieri degli USA e del mondo possedendo 275mila acri di terreno - circa 110.000 ettari – per un valore di oltre 800 milioni di dollari) il fondatore di Microsoft ebbe a dichiarare, tra l’altro, che gli “economisti non capiscono molto di macroeconomia” affermazione forte (e piuttosto discutibile) ma sostenuta da un argomentazione ancora oggi attualissima: “ non è come la fisica, dove si hanno certi imput e si preannunciano certi autput. I tassi d’interesse torneranno mai alla normalità? E perché oggi non stanno tornando alla normalità? Su questo non otterremo mai un consenso tra gli economisti” Profetico, come sempre. (di Mauro Masi)

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