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Santa Sofia, padre Monge: "Sia fruibile come simbolo di fedi diverse"

06 agosto 2020 | 11.30
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(Fotogramma)
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"Santa Sofia è uno dei quei siti mondiali dalla bellezza seducente, che parla fortemente di Dio e che dovrebbe continuare a essere fruibile in tutta la sua pienezza e anche nella sua contraddittorietà di un simbolo che evoca universi religiosi e culturali diversi". E' quanto afferma a Vatican News padre Claudio Monge, domenicano, responsabile del Centro del Dialogo Interculturale di Istanbul, commentando la recente decisione del presidente turco Erdogan di riconvertire la grande basilica bizantina, divenuta museo, nuovamente in moschea.

"Questa interpretazione universalistica - spiega padre Monge - è l’esatto contrario di una visione nazionalista e sovranista del potere. In questo senso, è stata clamorosa e molto contestata, anche da diverse voci in Turchia, la forzatura simbolica di tutta la celebrazione di riapertura al culto islamico di Santa Sofia avvenuta lo scorso 24 luglio".

Il religioso domenicano cita "la retorica dell’intervento del presidente del ministero degli affari religiosi, con tanto di spada nella mano sinistra conformemente alla tradizione della conquista ottomana, dove la spada nella mano sinistra significava 'pace' e in cima al minbar, la cattedra della predicazione, in tempi moderni sempre meno usata nelle moschee, un po’ come i vecchi pulpiti delle chiese, fino al canto della prima sura del Corano, che compendia l’essenza del libro sacro islamico, e dei primi 5 versetti della sura al-Baqara che promette prosperità a coloro che seguono la via di Allah, intonati dal Capo dello Stato in persona".

Padre Monge osserva che "globalmente, non ci sono state meno reazioni negative nel mondo islamico che in Occidente. In una buona parte del mondo arabo islamico, infatti, i sogni neo-ottomani risvegliano storici sospetti, che si traducono dal Cairo a Riad in dichiarazioni di censura anche teologica per una riappropriazione islamica che infrangerebbe la sacralità di un luogo di culto originariamente dei fedeli delle Religioni del Libro e che Maometto, il Profeta dell’Islam, ha sempre intimato di rispettare".

E' anche vero, però, che "la maggior parte degli Occidentali che hanno parlato di sfregio alla cristianità, lo hanno fatto al netto di una storia di contrapposizioni, sofferenze e ferite tra cristiani, spesso totalmente sconosciuta. Come credenti, indipendentemente dalla nostra fede di appartenenza - prosegue padre Monge - dovremmo insorgere di fronte alla tendenza a trasformarci in meri custodi di monumenti o luoghi di culto, per difendere lo statuto di testimoni di una fede viva che non è semplice eredità di una storia passata, ma interpella il presente e ci trasforma in pietre vive al cuore della Storia, che mai potranno essere sequestrate a servizio di semplici fini terreni".

Quanto a chi afferma che un luogo di culto trasformato in museo è ferito nella sua essenza, padre Monge replica che "migliaia di capolavori dell’arte, che rimangono luoghi di culto, non sono necessariamente l’ambito più adatto per l’intimità della vera preghiera. Tuttavia, non possiamo neanche sottovalutare l’importanza del bello, perché la bellezza è un nome di Dio e questo vale per i cristiani come per i mussulmani. Onestamente, non mi è mai parsa realistica la prospettiva di un utilizzo interreligioso del sito di Santa Sofia. Per esperienza personale, dubito fortemente che ci sarebbero le condizioni anche solo per un utilizzo ecumenico degli spazi sacri".

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