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Alimenti: un prodotto tradizionale su 4 è a rischio estinzione

13 aprile 2015 | 17.10
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Eppure secondo la Cia si tratta di un patrimonio che se valorizzato e riadattato a nuovi modelli di business (dalla vendita diretta alla creazione dei cosiddetti Sistemi alimentari locali), potrebbe valere 11 miliardi di euro l’anno con l’indotto

Alimenti: un prodotto tradizionale su 4 è a rischio estinzione

Dalla castagna 'ufarella' del casertano al formaggio 'rosa camuna' della Valcamonica, dalla fava di Leonforte dell’ennese al sedano nero di Trevi: sapori antichi, di nicchia che rischiano l'estinzione. E così un prodotto tipico su 4 rischia di sparire dalle nostre tavole. A lanciare l'allarme è la Cia a poche settimane dal via di Expo 2015. Eppure si tratta di un patrimonio che se valorizzato e riadattato a nuovi modelli di business (dalla vendita diretta alla creazione dei cosiddetti Sistemi alimentari locali), potrebbe valere 11 miliardi di euro l’anno con l’indotto, più del doppio del giro d’affari del turismo enogastronomico italiano (5 miliardi).

Oltre alle Dop e Igp, dove comunque l’Italia detiene il primato con 268 certificazioni iscritte nel registro Ue per un fatturato che supera i 13 miliardi al consumo: il nostro Paese, ricorda la Cia, vanta anche ben 4.813 prodotti tradizionali difesi, nonostante le difficoltà, dagli agricoltori-custodi. In provincia di Isernia, ad esempio, nel comune di Castel del Giudice, l'azienda Melise associata Cia si è specializzata nella coltivazione di mele autoctene, come 'limoncella', 'gelata' e 'zitella' impiegate nella produzione di succhi di frutta, marmellate e soprattutto pappe per la prima infanzia.

In questo modo, gli “antenati” degli omogeneizzati, ma più salubri e al 100 per cento “bio” arrivano sulle tavole delle mamme più green. Ad Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, l'azienda Anna Iannone è uno degli otto presìdi che conservano e diffondono il seme autoctono del Cece nero della Murgia carsica. A Cutrofiano, invece, in provincia di Lecce, il signor Giuseppe dell'azienda Piccapane, ha lasciato il lavoro di consulente aziendale a Milano, ed è ritornato nella sua terra d’origine per ridare“dignità” agli uliveti di famiglia ormai abbandonati e per recuperare varietà antiche di cereali originali (grano senatore Cappelli e Khorasan) e ortaggi adatti alla aridocoltura.

sono 255 i presidi a livello nazionale di Slow FoodEd è proprio per tutelare le produzioni a rischio che nascono i presidi Slow Food e il risultato di oltre 10 anni di lavoro è “di 255 presidi a livello nazionale e un po' meno di 200 nel mondo” racconta all'Adnkronos, Francesca Baldereschi, responsabile nazionale Presìdi Slow Food. Si va dal miele al formaggio dai dolci alla frutta secca, dagli ortaggi ai legumi. A queste produzioni 'di nicchia' “si cerca di dare un futuro rendendole note e redditizie e appetibili per il mercato”. La carta vincente è la qualità: “un valore che non è scontato”. Ad esempio, sottolinea Baldereschi, “una lenticchia importata dal Canada o dalla Turchia che conosce un sistema di coltivazione meccanizzato non può essere paragonata da una coltivata sulla montagna abruzzese e raccolta a mano”. Alla fine “il costo che viene fuori è diverso ma anche la qualità e bisogna essere bravi a riconoscere questo tipo di valore”.Tra le produzioni rare “abbiamo l'acqua di fiori di arancio amaro, un'essenza di pasticceria prodotta al confine con la Francia, che era andata completamente fuori produzione”. La produzione, racconta la responsabile nazionale Presìdi Slow Food, “è stata ripresa dal nipote di uno dei proprietari di una vecchia distilleria". C'è poi “il pane fatto con farina di castagne tipico delle zone montane della Lunigiana, soprattutto di Casola in Lunigiana”. Tutti buoni esempi di un'economia che riprende a girare grazie ai territori.

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