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Gb: Saraceno, su Scozia scampato pericolo ma rally mercati durerà poco

19 settembre 2014 | 17.37
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L'economista della Sciences Po di Parigi e della Luiss analizza le conseguenze del no al referendum per la secessione dal Regno Unito. Una buona notizia che non cancella il fallimento delle politiche restrittive in Ue e Gran Bretagna.

Francesco Saraceno
Francesco Saraceno

La vittoria del no al referendum sull'indipendenza della Scozia "è uno scampato pericolo ma non comporta ottimismo per il futuro". A sottolinearlo all'Adnkronos è l'economista Francesco Saraceno, docente di macroeconomia a Sciences Po a Parigi e alla Luiss di Roma.

"Sicuramente il risultato della consultazione è stata una buona notizia per i mercati - ha osservato - perchè la vittoria del sì avrebbe aperto un periodo di grande incertezza. Invece si è votato per lo status quo rassicurante, ma non credo che il rally dei mercati durerà molto". E questo perché adesso di pone "un grande punto interrogativo" per un nuovo assetto nei rapporti tra la Scozia e il governo centrale, alla luce delle promesse del premier David Cameron per una forte devolution fiscale. Operazione questa che "nel medio periodo impoverirà la Gran Bretagna", portando a due possibili scenari: un maggiore avvicinamento di Londra all'Europa o l'acuirsi dello scontro.

Certo è, rileva l'economista, "che le politiche marcatamente restrittive hanno rafforzato le spinte secessionistiche" e questo vale per la Gran Bretagna e per il resto d'Europa, alle prese con la disaffezione dei suoi cittadini. "Assistiamo al colossale fallimento delle politiche economiche del Regno Unito e della Ue, con un'Europa che oggi è più povera di quanto non lo fosse nel 2008. E la disaffezione dei cittadini per la politica economica non può che rafforzare i localismi".

L'unica ricetta per affrontare questo diffuso malessere sono serie politiche di "investimenti pubblici che facciano da volano a quelli privati", sottolinea Saraceno. E questa necessità "era evidente da subito, ma nell'Ue ha prevalso l'accecamento ideologico per le riforme a qualunque prezzo con costi sociali elevatissimi".

Alla luce di ciò, secondo l'economista, il piano di Juncker per 300 mld investimenti in 3 anni non basta. "Noccioline", lo definisce. "Serve un piano pari al 2% del pil Ue l'anno, circa 600 mld - insiste - e se questo non si può fare, allora un'avanguardia di paesi dovrebbe mettersi d'accordo e mettere in minoranza la Germania di Angela Merkel, dicendo che ogni decimale di deficit sopra il 3% andrà a investimenti per tornare a crescere".

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