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Mostra Venezia: Schnabel, il mio Van Gogh viene dalla sua tavolozza

03 settembre 2018 | 17.22
LETTURA: 4 minuti

Willem Dafoe in  'At eternity's gate'
Willem Dafoe in 'At eternity's gate'

"L’unico modo di descrivere un’opera d’arte è fare un’opera d’arte". parola di Julian Schnabel che presenta oggi in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 'At eternity's gate', il film interpretato da Willem Dafoe che racconta l'ultima fase della vita del grande pittore olandese Vincent Van Gogh nel sud della Francia. "Tutti pensano di sapere tutto su van Gogh e quindi sembrava superfluo fare un nuovo film. Ma poi ci è venuta un'idea, utilizzare l'emozione della contemplazione dei suoi quadri", ha aggiunto Schnabel. Dafoe spiega di essersi preparato a questa nuova grande interpretazione leggendo molto: "Una delle cose che Julian mi ha chiesto di fare è stato di leggere una biografia in cui erano riportate tante delle sue lettere. Mi è servito moltissimo, per capire il suo rapporto con la società, la sua convinzione che la malattia potesse 'guarirlo', il suo rapporto con la natura". Nel film Van Gogh risulta molto lucido, di fronte alla difficoltà di vendere i suoi quadri, nel valutare che il suo successo arriverà in un momento storico successivo: "Nel film ci sono tanti particolari completamente inventati ma questo no. Questo viene fuori dalle sue lettere", ha detto Schnabel.

Il film è basato su due punti molto controversi della biografia del grande pittore olandese: gli appunti che Van Gogh scrisse in Francia (e che il museo Van Gogh non riconosce) e il fatto che Van Gogh venga ucciso alla fine del film, e non si sia quindi suicidato come sostengono altri. "A me non importa se sono veri o meno o se si è suicidato o meno. Questo è un film e percorre una sua storia, immagina che sia andata così", ha sottolineato Schnabel. "Sulla questione del suicidio non esiste nessuna testimonianza - sottolinea lo sceneggiatore Jean-Claude Carrière - per questo abbiamo lottato contro questa leggenda cupa. In quel momento Van Gogh dipingeva moltissimo. Faceva quasi un quadro al giorno. Non è molto credibile il suicidio. Tra l'altro non è mai stata trovata l'arma ed è difficile per un suicida disfarsi dell'arma. Per quanto riguarda gli appunti, noi li abbiamo esaminati ma nel film non vengono utilizzati come suoi ma come voce fuori campo". Insomma, ha concluso Schnabel: "Questa non è una biografia del pittore realizzata con precisione scientifica. È un film sul significato dell’essere artista. È finzione, e nell’atto di perseguire il nostro obiettivo, se tendiamo verso la luce divina, potremmo addirittura incappare nella verità".

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