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Videogiochi

Se l'uomo bianco finisce nei panni del cattivo: la Cina punta agli studios occidentali di videogiochi

30 luglio 2021 | 06.57
LETTURA: 3 minuti

Ha più giocatori di ogni altro Paese al mondo, per questo la Cina non vuole più lasciare il controllo del mercato e, soprattutto, dell'influenza culturale che ne deriva a Giappone e Usa.

 - Da Sumo-digital.com
- Da Sumo-digital.com

Dopo decenni di egemonia giapponese e statunitense, un’altra potenza vuole aumentare la sua presenza nel campo dei videogame. I giganti tech cinesi stanno iniziando a investire nel settore, con acquisti sempre più importanti tra gli studios europei e americani. La Cina ha più giocatori di ogni altro Paese al mondo, rendendo quello dei videogiochi un mercato estremamente lucrativo per chi riesce a inserirsi. Il motivo per cui le aziende occidentali accettano gli acquisti cinesi è anche e soprattutto dovuto al fatto che, per via delle norme in vigore a Pechino, senza una partnership interna non possono far uscire i propri giochi in Cina.

Tencent e NetEase accumulano da anni partecipazioni in società di gaming estere senza che questo abbia destato mai preoccupazioni particolari. Fino ad oggi. “Tencent continua a comprare il gioco al numero 1 in ogni nicchia in Nordamerica e in Europa” ha scritto su Twitter l’esperto di investimenti tech Rodolfo Rosini “e questo è importante per via dell’influenza culturale dei videogiochi. Il potere sta nel controllare come la realtà viene rappresentata”. E conclude “Se facessero lo stesso, con una partecipazione in ogni azienda di media occidentale, ci sarebbero sommosse popolari e tumulti politici”. Non è quindi solo questione di mercati e ricavi: le ricadute a livello culturale e di immaginario collettivo potrebbero essere notevoli, e c’è già chi parla di tentativi di dar vita a una nuova egemonia culturale passando per le consolle.

Al momento non si vedono cambiamenti in questo senso, ma non è escluso che, con l’aumentare della presenza cinese negli studios occidentali, non possano farsi più evidenti modifiche nello stile e nel messaggio dei videogiochi. Non necessariamente un male: si potrebbe, per una volta, vedere l’uomo bianco nei panni del cattivo confrontarsi con un eroe dai tratti non caucasici. E poi c’è un mercato di gamers al femminile molto consistente in Cina (si parla di cifre intorno ai 500 milioni di giocatrici) che potrebbero portare a uno sviluppo per il pubblico mondiale di più giochi orientati sui loro gusti e la loro sensibilità, arricchendo il panorama di titoli e temi proposti.

Ma ci sono alcuni tratti che differenziano l’industria culturale cinese dall’egemonia culturale esercitata finora nel ramo cinematografico da Hollywood. Prima di tutto perché il cinema americano è spesso stato critico nei confronti del governo e della società, dando voce progressivamente a minoranze e dissenso. In Cina questo non è possibile. Il suo mercato dei videogames è pesantemente regolato, i contenuti sono controllati e censurati a monte mentre quelli che vengono dall’estero devono essere preapprovati e in alcuni casi modificati prima di poter accedere al mercato interno. Finora Tencent ha utilizzato un approccio molto rilassato nei confronti delle compagnie estere su cui investe, e spinge di più verso le partnership tecnologiche, come con la britannica Sumo, ultima protagonista di un accordo da 1,26 miliardi di dollari, che verso un controllo sui contenuti. “Ma il modo in cui la Cina potrebbe usare i videogames per esportare la sua cultura è un’area di discussione estrema mente importante e largamente trascurata”, ha spiegato alla CNBC Abishur Prakash, cofondatore del Center for Innovating the Future ed esperto mondiale delle tecnologie applicate alla geopolitica.

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