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Sfida italiana contro le staminali del cancro al seno, 'roccaforti' malattia

01 ottobre 2014 | 19.38
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Settore di frontiera, ma speranze da farmaco tricolore in sperimentazione in centri Usa

Il tessuto del tumore? E' una società 'deviata' di cellule. E come in tutte le società c'è una gerarchia. Non tutte le classi hanno lo stesso peso. Una popolazione minoritaria, le staminali tumorali, sembra giocare un ruolo influente. Una sorta di roccaforte, una centrale in cui sono racchiuse le istruzioni per produrre nuovi 'soldati' della neoplasia. La ricerca - in prima fila un cervello italiano trapiantato in Usa da 10 anni, Piero Dalerba della Columbia University di New York - sta indagando per approfondire tutte le dinamiche che le coinvolgono. Un'area di frontiera da esplorare, protagonista oggi a Milano di un workshop della Società italiana di immunologia, immunologia clinica e allergologia (Siica), nell'ambito della III 'Conference of Translational Medicine on the Pathogenesis and Therapy of Immune-mediated Diseases', all'Humanitas Congress Centre.

Seminario in cui Dalerba ha fatto il punto sullo stato dell'arte della ricerca. Ed è proprio l'Italia a lanciare il guanto di sfida alle staminali del cancro. La strategia non è colpirle al cuore ma accerchiarle, in un assedio in pieno stile militare. Come? Modificando il micro ambiente in cui si sviluppano e si riproducono. Tutto nasce da un'intuizione preclinica, alla quale l'industria made in Italy ha teso la mano, per fronteggiare una forma difficile di tumore al seno, il triplo negativo, osso duro dell'oncologia che rappresenta il 15-20% dei circa 40 mila casi complessivi di carcinoma mammario. Questo tumore non esprime il recettore per gli estrogeni, per il progesterone, né mostra alcuna sovraespressione della proteina Her2. Il che lo rende difficilmente attaccabile, perché al momento non ci sono farmaci mirati. Resta come arma, seppur 'spuntata', la chemio.

Gli scienziati si sono messi a caccia di nuovi obiettivi, le staminali tumorali appunto. Contro di loro si scaglia un farmaco sperimentale targato Dompé, la cui attività terapeutica è in valutazione. Lo sta testando un pool di centri Usa: il farmaco agisce sui mediatori dell'infiammazione che favoriscono lo sviluppo delle staminali tumorali, e in particolare di alcune citochine come l'interleuchina-8 (IL-8). "Nei tessuti normali abbiamo cellule staminali che portiamo con noi tutta la vita e cellule 'figlie' che hanno una vita limitata, sono a scadenza e vengono riciclate - spiega Dalerba - Lo stesso meccanismo si osserva nei tumori che sono versioni anomale di un tessuto normale, ma ne conservano la struttura architettonica, con alcune eccezioni e varianti".

Sapere questo è importante, assicura lo scienziato milanese 44enne, un 'detective' delle staminali tumorali (dal cancro al colon a quello al seno). "Molti approcci del passato tendevano a considerare il cancro come un ammasso da colpire indiscriminatamente, ora stiamo pensando che sia meglio mirare le terapie a sottotipi particolari di cellule per eradicare il cuore più malvagio del tumore". Un campo da pionieri, in cui si sta avventurando Dompé. "Abbiamo un agente, reparixin, che inibisce in modo potente l'IL-8", spiega Eugenio Aringhieri, Ceo del gruppo Dompé. "Con 15 centri Usa abbiamo messo in piedi due studi. Il primo già concluso, su 33 pazienti con tumore metastatico trattate con il farmaco associato alla chemio, in cui oltre a dimostrare sicurezza e tollerabilità della terapia e trovare la dose minima efficace abbiamo anche cercato di catturare informazioni sull'azione del farmaco sulle staminali tumorali e le evidenze sono positive".

Parallelamente, continua Aringhieri, "abbiamo aperto un secondo studio su 40 pazienti (il reclutamento è a metà) con malattia non avanzata, trattate dal momento della diagnosi fino all'intervento chirurgico. Termineremo per fine anno. Le evidenze raccolte durante il percorso ci hanno convinto ad aprire una fase successiva, un trial di fase II, il più grande nell'area delle staminali tumorali, dove andremo a misurare anche il vantaggio competitivo in chiave di efficacia, misurando in un braccio il trattamento chemio più reparixin e nell'altro la chemio standard. Da qui usciremo con una risposta decisiva", che potrebbe poi aprire porte anche per altre forme tumorali. "Dobbiamo capire la portata clinica di questa strategia".

I centri coinvolti sono 60, in Nord America ed Europa, e 190 sono le donne da reclutare. "Abbiamo già discusso il trial con l'Fda e siamo pronti a partire con un primo paziente già quest'anno. Nel 2015 scatterà il reclutamento, il 2016 sarà un anno di follow-up e nel 2017 avremo i risultati. Speriamo siano positivi, ma sappiamo che in fase II abbiamo il 10% di possibilità di farcela", conclude.

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