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Sicurezza parti a rischio, ginecologi pronti a nuovo sciopero

12 febbraio 2014 | 16.09
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Sicurezza parti a rischio, ginecologi pronti a nuovo sciopero

Roma, 12 feb. (Adnkronos Salute) - "La sicurezza delle pazienti che si rivolgono ad alcune strutture sanitarie per partorire è a rischio. La posta in gioco è alta". A lanciare l'allarme sono i ginecologi e le ostetriche italiani, di nuovo in stato di agitazione dopo il primo sciopero delle sale parto pubbliche e privato, lo scorso 12 febbraio. A un anno esatto da allora, sono pronti a incrociare di nuovo le braccia se "Parlamento, Governo e Regioni non daranno risposte adeguate", come hanno spiegato in una conferenza stampa oggi a Roma. La loro presa di posizione ha già incassato l'adesione di numerose organizzazioni sindacali e associazioni scientifiche mediche.

Per la categoria, infatti, sono rimaste "inevase" le richieste di "messa in sicurezza dei punti nascita" e di "una nuova legge sulla responsabilità professionale per limitare il contenzioso medico legale". Nel primo caso, ricordano le sigle, "le raccomandazioni previste dall'Accordo Stato-Regioni del 2010 non sono applicati in tutto il Paese: dalla chiusura dei punti nascita che effettuano meno di 500 parti l'anno alla guardia ginecologica e pediatrica attiva h24, fino a un numero adeguato di ostetriche nei reparti e alla predisposizione di sale operatorie vicino alle sale parto".

E intanto "si continua a morire di parto, come è accaduto la scorsa estate in Sicilia dove una donna ha perso la vita in un punto nascita che avrebbero dovuto chiudere già dal 2012, ma che ha continuato a operare nonostante tutto". Secondo gli ultimi dati del Piano nazionale esiti di Agenas-ministero Salute relativi al 2012, 128 punti nascita (su 536 strutture tra pubblico e privato) effettuano meno di 500 parti l'anno, e sono concentrati soprattutto in Campania e Sicilia. Dal 2010, quando l'allora ministro della Salute Fazio parlava di 158 punti nascita da chiudere o mettere in sicurezza perché con meno di 500 parti l’anno, se ne sarebbero chiusi non più di una trentina, precisano i ginecologi. Meno del 20%.

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