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Famiglie sempre più povere, 6,3 milioni di italiani senza lavoro

28 maggio 2014 | 11.41
LETTURA: 6 minuti

Piena di ombre la situazione del Paese fotografata nel Rapporto annuale 2014 dell’Istat: la povertà colpisce soprattutto al Sud e gli under 35. In aumento gli italiani che lasciano il Paese

(Infophoto)
(Infophoto)

La crisi continua a piegare le famiglie italiane che sono sempre più povere, specie al Sud dove si registra un disagio cinque volte superiore al Nord. Nel nostro Paese la povertà colpisce tre volte di più le persone sotto i 35 anni e due volte di più i disoccupati e gli inattivi. Così, per tirare avanti, o per non erodere i risparmi, le famiglie italiane nel 2013 hanno ridotto la spesa per i consumi del 2,6% e quella per le cure mediche. E’ ancora piena di ombre la situazione del Paese fotografata nel Rapporto annuale 2014 diffuso dall’Istat.

La povertà - L’indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, segnala l’Istat, “sale di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all’8% della popolazione. La grave deprivazione, dopo l’aumento registrato fra il 2010 e il 2012 (dal 6,9% al 14,5% delle famiglie) registra un lieve miglioramento nel 2013, scendendo al 12,5%”. La foto scattata dall’Istat indica come “il rischio di persistenza in povertà, ovvero la condizione di povertà nell’anno corrente e in almeno due degli anni precedenti, è nel 2012 tra i più alti d’Europa (13,1 contro 9,7%)”. “Si tratta di una condizione strutturale” sottolinea l’Istituto, e “le famiglie maggiormente esposte continuano a essere quelle residenti nel Mezzogiorno, quelle che vivono in affitto, con figli minori, con disoccupati o in cui il principale percettore di reddito ha un basso livello professionale e di istruzione”. Il rischio di persistenza nella povertà “raggiunge il 33,5% fra le famiglie monogenitori con figli minori” e “nel Mezzogiorno è cinque volte più elevato che nel Nord, tre volte più elevato tra gli adulti sotto i 35 anni, due volte più elevato tra i disoccupati e gli inattivi” è il dato che arriva dall’Istat.

L’occupazione: 6,3 milioni tra disoccupati e inattivi - Guardando alle tabelle dell’Istat relative al tasso di disoccupazione si ricava un dato rilevante: sommando disoccupati (3 milioni 113mila) e forze lavoro potenziali (3 milioni 205mila) si arriva alla cifra di oltre 6,3 milioni di persone senza lavoro.

Sempre a causa della crisi economica, evidenzia il Rapporto Annuale 2014 dell’Istat, peggiorano anche i divari territoriali, facendo registrare una perdita di occupazione nel Mezzogiorno superiore al resto del Paese. “Il tasso di occupazione maschile del Mezzogiorno, già inferiore di quasi dieci punti alla media nazionale nel 2008, - si legge nel Rapporto - continua a diminuire con un ritmo più accentuato, attestandosi al 53,7% nel 2013”.

Giovani i più colpiti - I giovani sono il gruppo più colpito dalla crisi: i 15-34enni occupati diminuiscono, fra il 2008 e il 2013, di 1 milione 803 mila unità, mentre i disoccupati e le forze di lavoro potenziali crescono rispettivamente di 639 mila e 141 mila unità. ll tasso di occupazione 15-34 anni scende dal 50,4% del 2008 all’attuale 40,2%, mentre cresce la percentuale di disoccupati (da 6,7% a 12%), studenti (da 27,9% a 30,7%) e forze di lavoro potenziali (da 6,8% a 8,3%). Le differenze di genere sono importanti: il tasso di occupazione è al 34,7% tra le donne e raggiunge il 45,5% tra gli uomini. Anche i divari territoriali sono marcati: al Nord il tasso di occupazione è pari al 50,1% (-12,1 punti percentuali dal 2008), contro il 43,7% del Centro (-10,4 punti) e il 27,6% del Mezzogiorno (-8,4 punti). Le differenze territoriali sono importanti anche per le quote di disoccupati (15,3% nel Mezzogiorno contro 9,3% nel Nord) e di forze di lavoro potenziali (14,3% contro 4%).

Consumi e risparmio - Sempre lo scorso anno, inoltre, “è tornata ad aumentare la propensione al risparmio (ovvero il risparmio lordo sul reddito disponibile), risalita al 9,8% dopo il minimo storico dell’8,4% toccato nel 2012” prosegue l’Istituto rilevando che “per la prima volta dall’inizio della crisi, nel 2013 la riduzione dei consumi è stata maggiore di quella del reddito”.

Le imprese - Sul fronte delle imprese, nel 2013 i livelli dell’attività produttiva “sono rimasti inferiori a quelli del 2008, in particolare nelle costruzioni (-28% di valore aggiunto) e nella manifattura (-17,5%), meno nell’agricoltura e nei servizi (rispettivamente -6,4 e -3,9%)”. Rispetto ai paesi Ue, però, “l’Italia mostra una quota elevata di export afferente alle piccole e medie imprese (circa il 54%), molto superiore a quella delle altre grandi economie europee”.

Gli investimenti nella ricerca - Riguardo l’innovazione, l’Italia continua ad investire in Ricerca e Sviluppo (R&S) una quota di Pil distante dall’obiettivo definito da Europa 2020 (1,25% a fronte dell’1,53%). “Il ritardo - afferma l’Istat - è vistoso anche nella spesa delle imprese (0,7% del Pil contro 1,3% della media Ue27). Quasi un quarto di questa spesa si deve a multinazionali estere”.

Pil in crescita nel 2014 - Ma nel Rapporto dell’Istat sembra intravedersi anche un po’ di luce. Secondo le stime dell’Istituto di statistica, infatti, nel 2014 si prevede un aumento del prodotto interno lordo (Pil) italiano “pari allo 0,6% in termini reali”. E la prospettiva apre all’ottimismo anche per i prossimi due anni, periodo in cui, “la crescita dell’economia italiana si attesterebbe all’1% nel 2015 e all’1,4% nel 2016”. Queste previsioni, avverte però l’Istat, “sono tuttavia soggette a rischi e incertezza derivanti dall’andamento della domanda globale, dalle condizioni di accesso al credito e dagli effetti delle politiche economiche”.

Aumento italiani che espatriano - Da evidenziare il fatto che sono sempre più numerosi gli italiani che si trasferiscono all’estero, e calano i rientri: nel 2012 gli italiani di rientro dall’estero sono circa 29mila, 2mila in meno rispetto all’anno precedente, mentre, al contrario, è marcato l’incremento dei connazionali che decidono di trasferirsi in un paese estero. “Il numero di emigrati italiani - si legge nel rapporto - è pari a 68.000 unità, il più alto degli ultimi dieci anni, ed è cresciuto del 35,8% rispetto al 2011. Le migrazioni interne dal Mezzogiorno verso il Centro-nord comportano un ingente trasferimento di capitale umano: permane infatti un saldo migratorio sempre negativo che, in media, nel decennio 2003-2013 è pari a 87mila unità all’anno”.

Nel 2013 minimo storico nascite - Nel 2013 si stima che saranno iscritti in anagrafe per nascita poco meno di 515 mila bambini, circa 64mila in meno in cinque anni e 12mila in meno rispetto al minimo storico delle nascite registrato nel 1995. “Le donne italiane in età feconda fanno pochi figli - si legge -, in media 1,29 per donna, e sempre più tardi: a 31 anni in media il primo figlio”.

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